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Impressione ed espressione

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Impressione ed espressione

Di Manfredi Lanza*

Eraclito, nel quinto secolo a.C., era stato fulminato dall’intuizione che l’esistenza è mero divenire: nulla propriamente è, ma tutto scorre; l’uomo non può immergere due volte il piede nello stesso fiume; ogni cosa è solo in quanto si va incessantemente trasformando in altro, ossia, in sostanza, smette di essere quello che è; in ragione del suo costante non essere ciò che era e che è.

I matematici idealisti, nell’antichità, hanno però avuto il sopravvento sulle menti – diciamo – spericolate, ipotizzando sfere celesti dell’essere al di là di ciò che appare e ripristinando per questo tramite la fiducia umana in valori di stabilità e immutabilità, sia pur meta-fisici. Tutta la secolare tradizione orientale ed occidentale connessa al cristianesimo si è tenuta abbarbicata ad una visione apparentata e peraltro in buona misura derivata anche da pitagorismo, platonismo e aristotelismo, e, in pittura, ha proposto nell’alto e basso medioevo raffigurazioni simboliche prive di volume e ombre, su astratti fondi oro.

In Occidente, l’attenzione dell’umanità è tornata a rivolgersi alla vita quale appare nell’età detta del Rinascimento, anche in relazione alla riscoperta di testi e manufatti d’arte risalenti ai tempi aurei del classicismo romano e greco sui quali l’idealismo metafisico aveva avuto un impatto occultante di sola superficie. Il Quattrocento è stato, in Italia, il secolo di un incredibile slancio d’entusiasmo e ottimismo, che però è tosto approdato ad una nuova, lunga, fase di angosce entro le quali tutt’oggi ci dibattiamo. Approfondendo lo studio del mondo reale, ci siamo presto resi conto che la Terra non era il centro dell’universo, ma un pianeta infimo, ruotante su se stesso e intorno al sole. Al di là dell’Atlantico ci siamo imbattuti in un nuovo continente che, assieme ai crescenti contatti con l’Asia, ci ha condotti altresì a ridimensionare la posizione privilegiata dell’Europa nella nostra concezione geografica e geopolitica del mondo e, tanto più, la preminenza – se non altro culturale – dell’Italia, la quale, al massimo, poteva pretendere a una modesta centralità nell’area mediterranea. Nelle arti visive, la riscoperta del volume, dello spessore, dello spazio e della prospettiva, delle ombre e del chiaroscuro, delle combinazioni e degli impasti di colore, ci ha introdotti in conclusione alla presa di coscienza del movimento come dato chiave della realtà.

L’intuizione eraclitea è tornata di piena attualità, ancor prima nelle sensibilità che a livello di pensiero teoretico. Ciò, in contemporanea con l’affermarsi del protestantesimo, il concilio di Trento e la controriforma, le guerre di religione, si è tradotto, in pittura, scultura e architettura, dapprima in manierismo, quindi in arte barocca. Nel meridione cattolico è imperversato un barocco ostentatamente trionfalistico di santi assunti in cielo e angeli svolazzanti, mentre nel Nord e nell’Occidente protestante si è affermato un barocco cupo, malinconico, introspettivo.

Un passo ulteriore in ordine alla consapevolezza, in pittura, del movimento e della variazione come dato fondamentale del reale fenomenico è stato compiuto nell’Ottocento, con William Turner, poi gli impressionisti francesi e i macchiaioli italiani che hanno scardinato la convinzione di una compattezza m,ateriale di quanto si vede e si tocca con mano.

Se guardo, ad esempio, un paesaggio naturale, non vedo – come danno per scontato gli accademici tradizionalisti e i benpensanti «borghesi» – un che di ben definito sul piano dell’obiettività, né lo vedo in maniera pienamente obiettiva. Infatti, il paesaggio muta ad ogni istante; non è un qualcosa di immobile, di fermo, di stabile, di totalmente concreto e chiuso in sé, ma un qualcosa di sostanzialmente mutante. Per dipingerlo dal vero, oltretutto, mi ci vorrà del tempo e durante questo tempo ne varierà se non altro sensibilmente l’illuminazione, ne varieranno le sfumature di colore. D’altra parte, si noti che l’essere umano percepisce sulle retine due immagini distinte di ciò ha dinanzi agli occhi e che la sintesi delle due immagini, la quale non si identifica come tale con alcunché che sia meramente ricevuto dall’esterno, si opera nella mente del soggetto, per cui non sfugge già a un primo positivo grado di soggettività.

Gli impressionisti riflettono che la cosiddetta realtà ambientale non è, né di per sé, né tanto meno in quanto attinta dalla vista umana, gran che oggettiva. La fisica del ventesimo secolo ha evidenziato come la materia e gli oggetti che vediamo consistano di fatto in turbinii di atomi, quindi, successivamente, che gli stessi atomi sarebbero «spazi vuoti» in cui orbitano elettroni attorno a cosiddetti nuclei costituiti da protoni e neutroni. Insomma, nulla di ciò che vediamo è ciò che crediamo, né come lo vediamo. La supposta «realtà oggettività» è di fatto una mascheratura della realtà oggettiva autentica: più esattamente, è una realtà convenzionale, un’interpretazione convenzionale della realtà, data quale ferma, stabile e incontestabile per mera comodità intellettuale da animi pavidi. Di fatto percepiamo, semmai, impressioni. Impressioni dipendenti, peraltro, in assoluto dalla luce. Sappiamo che lo stesso colore altro non è che un fenomeno luminoso, dovuto al fatto che le diverse materie assorbono, sottraendole alla rifrazione e alla visione dello spettatore, componenti diverse dei raggi della luce solare che le investe. 

Spingendo oltre la riflessione, dobbiamo chiederci se nella fase attiva dell’operazione di vedere, quella cioè della sintesi istantanea delle due immagini registrate dalle retine, non confluiscano altri apporti soggettivi. Quanto influisce sulla vista la memoria, il fatto di avere già visto più volte in passato immagini analoghe atte ad agevolare, accelerare la nostra comprensione, interpretazione delle forme e macchie di colore, ma anche ad orientarle? Quanto influisce, ad esempio, l’umore del momento? Quanto l’esperienza che è assimilabile alla memoria e quanto la previsione che prolunga l’esperienza?

L’immagine che più compiutamente vediamo non è neppure solo quella, quasi solo passiva e neutra, meccanicamente rielaborata a partire dalle impressioni retiniche. Vi possono influire altri parametri della sensibilità e, in tal caso, diviene espressione.

*già funzionario del Parlamento europeo

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