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Individui e barbari

  • di

di  Fausto Anderlini*

Anch’io ebbi la ventura di scalare, nel 1980, una delle torri gemelle e di farmi immortalare su quello che allora era il tetto edilizio del mondo. Di quell’arrampicata ricordo la velocità di ascesa dell’ascensore e poco altro. Le torri gemelle erano quanto di più cubicamente elementare si possa immaginare: due parallelepipedi eretti, meglio due container. Architettonicamente la sintesi stilistica della logistica come base del commercio. Anni luce rispetto alla sfiziosità ornamentale dell’Empire o del Chrisler building.

Sotto questo profilo è del tutto ragionevole che ground zero sia oggi immortalato secondo una forma altrettanto elementare: due vasche quadrate alla stregua di grandi lavandini dove l’acqua scorre dall’alto e si inabissa in uno scarico di cui non si vede il fondo. Cosa che restituisce all’osservatore la sensazione rabbrividente del risucchio nel nulla, del buco nero come scarico, in antitesi a ogni idea archetipa dell’acqua come fluido vitale e amniotica pacificazione. Per come ha me sembra il monumento più misterioso e antiretorico che abbia mai visto.

Ciononostante ogni 11 Settembre a New York è l’occasione non per una interrogazione sul nichilismo in cui il mondo è precipitato – tema che i due grandi lavabi interpretano alla perfezione – bensì per ravvivare a reti euro-atlantiche unificate i noti miti della retorica nazionale: patriottismo, eroismo, solidarietà, sacrificio, determinazione giusta e anelito alla rinascita. Al contempo la Grande Mela innalzata come emblema universalista del mondo democrat. Il terrorismo come proditorio attacco alla forma urbis democratica contemporanea, misto di comunità solidale, iper-tecnologia post-moderna, diritti individuali e crogiuolo multirazziale. Un cerimoniale certo più a misura della cultura liberal che repubblicana. Non per caso essendo receduta, quest’ultima, sullo sfondo malgrado l’immagine iconica di Bush in piedi sulle rovine con in testa l’elmetto da pompiere. Ed essendo il mondo elettivo dei repubblicani non quello della città e della complessità urbana, ma del mondo country reietto dell’america interna, semplice, reattivo, elementare quanto impoverito. Più facile a riconoscersi, semmai, con l’antagonismo al potere urbano: da quell’altro ground zero che fu l’attentato suprematista a Oklahoma City a quell’assalto al Campidoglio che ha rischiato di riuscire laddove aveva fallito la squadriglia aerea di Bin Laden. In effetti che la società americana sia aspramente divisa la suo interno si è visto anche in questa ricorrenza. 

Vedendo queste commemorazioni e vedendomi passare sotto gli occhi le storie commoventi delle vittime ho sempre la sensazione di qualcosa che stona. Ma adesso ancor più che in passato. Le vite spezzate sono rappresentate all’insegna di quello che potremmo definire come un individualismo intimista. Le vittime ci sono restituite non come numero e bilancio ma come storie distinte improntate dall’affettività, dalla tenerezza, dall’altruismo. In effetti per quel che sono. Tutto ciò che viene reciso dalla violenza della guerra. Una narrazione piena di pathos che interpreta quella ricorrente e introflessa voglia di tenerezza che è l’altra faccia di quell’istinto altrettanto americano che è la voglia di vendetta. Il ‘mondo civile’, l’occidente, come comunità di individui e sentimenti. Laddove altrove albergano i barbari. Massa informe e brulicante di aggregati senza nome nè volto, immersi nel caos e nel fanatismo. Il mondo indistinto degli inumani. Ed è questo che stona. La rinunzia ad approfondire l’analisi sul vero interrogativo: l’insostenibilità di una intera visione del mondo nella chiave dualistica e manichea dello scontro di civiltà.

Il ventennio di guerre succeduto all’11 Settembre ha un suo consuntivo: si calcolano almeno 900.000 morti e 38 milioni di profughi. Intere parti del mondo ridotte a buchi neri. Immani sofferenze. Che però non sono celebrate. Numeri a bilancio, più spesso nascosti nelle pagine segrete del libro maestro. Al più menzionati all’insegna del minimalismo del danno collaterale. Ancora l’altro ieri i militari americani hanno risposto all’attentato all’aeroporto mandando un drone sull’auto di un presunto terrorista. Si è poi scoperto fosse un addetto a una ong mentre la conseguenza è stata l’uccisione di un tot di persone fra le quali anche sei bambini. Sappiamo nomi e cognomi, le storie dei giovani marines rimasti in quello scolmatoio adiacente l’aeroporto, ma di queste vittime nessuno ha ricostruito il profilo. Gli Usa hanno risposto all’attacco di Al Qaeda come è nelle loro corde e come sempre hanno fatto. Lanciando bombe all’impazzata e facendo terra bruciata. Del resto a sperimentare per primi questa tecnica bellica basata sul terrore furono gli yankees durante la guerra civile, quelli che erano dalla parte giusta. Non i Confederati, romantici portatori di una causa persa, nonché ingiusta. L’efficacia dei bombardamenti non sta nella loro precisione chirurgica. Del resto non c’è nessun nemico così stupido da offrirsi al bisturi del chirurgo sdraiato sul lettino di una sala operatoria. Bensì nell’effetto terrorifico che emanano. Atterrire le popolazioni questo è lo scopo. La guerra al ‘terrorismo’ è una bufala. Tutte le guerre sono combattute all’insegna del terrore, persino quelle commerciali. Dal momento che non vi più alcuno stato che combatta secondo canoni convenzionali, talchè la stessa categoria del ‘partigiano’ come sfidante irregolare è venuta meno. Tutti sono divenuti irregolari, gli Usa più di ogni altro. 

Può essere che l’11 settembre sia stato un ‘attacco alla democrazia’ anche perchè è nota l’idea che l’Islam radicale riserva a questo modo di governo. Una blasfemia. Però, in una lettura storica scevra di passionalità, l’11 Settembre figura soprattutto come un attacco alla superpotenza americana di audacia inaudita.

Gli Stati Uniti sono l’unica nazione che non ha subito invasioni. Nè da terra, nè dal mare, nè dall’aria. Elementi, questi ultimi, nei quali la loro supremazia è assoluta. Uno stato insulare-continentale praticamente inattaccabile, che ha esteso allo spazio aereo prerogative che furono proprie della potenza marittima dell’Inghilterra imperiale. Pearl Harbor fu un geniale attacco aereo, ma confinato a una base oceanica isolata. Un evento peraltro necessario per permettere a Roosewelt di trascinare un paese renitente in guerra. Un bombardamento di una base militare con minimo impatto sulla popolazione civile.

Le uniche guerre combattute sul suolo americano sono state guerre civili, di conquista interna e di allargamento dei confini: quella d’indipendenza, quella di secessione, quelle contro il Messico e quelle di sterminio contro i nativi. Una guerra civile a bassa intensità è peraltro intrinseca alla democrazia americana malgrado il lascito mitologico dei padri pellegrini. Essendo un paese dove il monopolio statale della violenza è limitato dal secondo emendamento. Sicchè ogni scontro intra-civile tende a debordare nella violenza.

L’attacco dell’11 settembre è perciò stato l’unico eccezionale caso nel quale un nemico esterno ha portato la guerra sul territorio americano. Peraltro dall’alto, cioè da quello spazio aereo nel quale gli usa non ammettono concorrenti. Bombardare l’America usando come bombe i suoi stessi aerei ad uso civile facendoli guidare da dirottatori kamikaze addestrati nelle scuole di volo americane ed armati di lamette. Una genialità luciferina assoluta.

Più a fondo l’11 Settembre ha funzionato come Pearl Harbor. L’occasione per dare la stura a una strategia guerrafondaia e di occupazione territoriale sotto la coltre ingannevole della gendarmeria ‘civilizzatrice’, che era già messa a punto nel piano ingegneristico dei neo-conservatori. Vinta la battaglia contro il comunismo, venti anni di guerre per riattizzare il plusvalore dell’apparato militare-industriale, mettere le mani su risorse energetiche, innestare presidi in zone geo-strategiche e compattare la nazione ingigantendo l’idea di nuovi nemici, barbari, potenze del male. Ed è andata come abbiamo visto. Gli Usa hanno rischiato di battere il record della guerra dei trent’anni del diciassettesimo secolo europeo. Non ci sono riusciti. Si sono fiaccati anzitempo, anche perchè i ‘barbari’, quelli sì, hanno dimostrato di saper reggere anche un secolo intero. Della vita affettiva e dell’individuo chi si muove nel tempo millenaristico del califfato se ne frega altamente. 

E’ per questa ragione che mentre ogni 11 Settembre mi abbandono alla compassione per le vittime innocenti delle twin towers, il mio pensiero si stacca dal Bush con l’elmetto da pompiere e va a Salvador Allende con l’elmetto e il mitra spianato nel Palazzo de la Moneda. L’eroe che vive, assieme alle decine di migliaia di martiri che ne accompagnarono il destino per mano dei sicari fascisti guidati dai servizi americani. Come celebrò Neruda il sangue dei giusti che per sempre s’innalza.

*sociologo

° la foto è tratta da Wikipedia , licenza Commons

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