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La strage di Montesole: il religioso e le ideologie

Fonte : Settimana News

Lo scorso 6 novembre 2021, Daniele Menozzi, storico, professore emerito alla Scuola Normale Superiore di Pisa, è intervenuto a un evento organizzato a Bologna dalla rete delle biblioteche ecclesiastiche dell’Emilia-Romagna dedicato al tema del pellegrinaggio sui luoghi della strage nazifascista di Montesole. Nel suo intervento, che pubblichiamo di seguito per gentile concessione dell’autore, viene ricostruito l’itinerario degli studi che ha portato la storiografia − anche sul versante ecclesiale − a una progressiva liberazione dai condizionamenti ideologici, consentendo di chiarire sempre meglio anche il ruolo della dimensione religiosa di quei tragici eventi del 1944. Titolatura redazionale.

Il cammino percorso dagli studi storici relativi alla strage compiuta dai nazifascisti a Montesole tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre del 1944 può fornire un utile contributo alla comprensione di quella vicenda.

In particolare può aiutare a meglio definire la presenza del religioso sia per quanto riguarda i suoi termini effettivi, sia per gli insegnamenti che se ne possono oggi trarre. Mi propongo perciò di ricostruire qui, sia pure assai sommariamente, questo itinerario. Ma, prima di affrontare il tema, è opportuno tenere presente una considerazione di carattere generale.

Il «paradigma antifascista» della storiografia

La storiografia che all’indomani della conclusione del secondo conflitto mondiale si è dedicata all’esame delle stragi nazifasciste, per quanto fosse criticamente assai attrezzata, è stata a lungo condizionata dall’esigenza di iscrivere gli studi all’interno di una prospettiva di pedagogia politica. La nuova Repubblica democratica, nata sulle ceneri del fascismo, aveva fragili basi. Non solo perché, sul piano internazionale, gli alleati non facevano sconti alla sconfitta militare subita da un’Italia che l’armistizio dell’8 settembre 1943 non aveva certo riscattato ai loro occhi dall’alleanza con la Germania nazista; ma anche perché, sul piano interno, il regime aveva goduto di in indubbio consenso, plasmando pratiche e mentalità di larghissima parte della popolazione.

La Resistenza – che allora si intendeva esclusivamente come lotta armata – era stata un fenomeno minoritario, assai circoscritto a livello geografico e cronologico. Gli storici si sentivano perciò chiamati a concorrere alla costruzione di una memoria pubblica del passato che favorisse un’adesione di massa alle nuove e gracili istituzioni democratiche. In quest’ottica, nel ricostruire gli orrori del nazifascismo, si preoccupavano, più che di restituire la realtà delle cose, di esimere da ogni responsabilità una popolazione che veniva rappresentata come profondamente avversa alla dittatura totalitaria.

Si alimentava, ad esempio, il mito del «buon italiano», contrapposto al «cattivo tedesco» e all’«infido fascista». In tal modo si permetteva alla maggioranza degli abitanti della penisola, che erano stati più o meno convinti sostenitori del regime, di gettare un colpo di spugna sui loro effettivi trascorsi politici. Senza alcun ripensamento su convinzioni e atteggiamenti tenuti fino a poco prima, essi potevano così trovare piena e legittima collocazione all’interno del nuovo ordinamento, manifestando un’adesione alle regole della democrazia che in realtà non avevano mai maturato.

Questa generale prospettiva storiografica – talora definita come il «paradigma antifascista» cui obbedivano gli studi storici – aveva ricadute nella ricostruzione delle stragi. La preoccupazione di consolidare la democrazia finiva per sovrastare lo scrupolo per l’esatta ricostruzione di quanto era accaduto in quelle tragiche circostanze. Scopo precipuo non era determinare i fatti con la maggior precisione possibile, ma finalizzare la scrittura alla costruzione di una memoria pubblica che mettesse in rilievo l’essenza criminale dei nazisti che avevano compiuto i massacri e la vocazione delinquenziale dei fascisti che avevano indicato chi e dove colpire.

Marzabotto

Il caso di Montesole è emblematico. Basta pensare che nel discorso dominante l’episodio era definito come «la strage di Marzabotto», per quanto la cittadina fosse stata in realtà solo marginalmente toccata dall’eccidio perpetrato dai nazifascisti. Qui infatti era stato eretto il sacrario e qui si svolgevano le commemorazioni ufficiali. Il numero delle vittime era poi stato ampliato, comprendendo non solo quanti erano caduti sotto i colpi della violenza nazifascista, ma anche quanti erano scomparsi nei coevi eventi bellici.

Un’ulteriore ricaduta dell’istanza politico-pedagogica che guidava la storiografia stava nell’automatica saldatura tra le vittime della violenza fascista e i partigiani combattenti. Singolare attestazione di questo atteggiamento è la motivazione del conferimento della medaglia d’oro al valor militare proprio ad uno dei caduti nella strage di Montesole, don Giovanni Fornasini. Il testo, ricordando che il sacerdote aveva saputo mantenere «il suo posto di pastore e di soldato», collegava l’esercizio del ministero sacerdotale ad un ruolo militare. Un nesso che appare sul piano storico assai problematico.

Anche la Chiesa era coinvolta nella costruzione di una memoria pubblica scarsamente fondata sulla storia. Ne è esemplare testimonianza la partecipazione dell’arcivescovo di Bologna, cardinal Nasalli Rocca, alle celebrazioni ufficiali indette a Marzabotto per ricordare la strage avvenuta invece sulle pendici di Montesole. Non c’è dubbio che il discorso cattolico su quelle vicende aveva specificità che lo differenziavano da quello di altri orientamenti, in particolare da quello svolto dai comunisti. La presenza cattolica nella guerra di liberazione non era infatti negata, ma veniva presentata con le formule del «partigiano per amore» o del «partigiano disarmato».

Tuttavia anche la Chiesa contribuiva ad alimentare una visione del passato che scaricava le responsabilità della guerra e dei crimini che vi si erano consumati su un nazifascismo dipinto come estraneo ai sentimenti della maggior parte della popolazione. Questo indirizzo, oltre a contribuire al generale indirizzo che evitava al paese di fare davvero i conti con il proprio passato, aveva anche un altro prezzo. Distoglieva l’attenzione dal ruolo giocato dalla comunità ecclesiale nell’organizzazione del consenso al fascismo, che si era manifestato persino verso gli atti più esecrabili del regime, come l’emanazione delle leggi razziali.

«Le querce di Montesole» (1986)

Il privilegio riservato dalla Chiesa alla costruzione di una memoria pubblica funzionale alle esigenze politiche del presente rispetto alla promozione della storia reale comincia ad attenuarsi nella seconda metà degli anni Settanta. Il Concilio Vaticano II ha in effetti mutato il rapporto della Chiesa con la storia: la conoscenza del passato non appare più un arsenale da cui trarre armi per l’apologetica o la polemica, ma un luogo da cui attingere elementi per rendere la Chiesa più prossima al volto che le ha prescritto il fondatore.

In questo nuovo contesto anche la comunità ecclesiale bolognese inizia a guardare con meno diffidenza ad una storiografia condotta, in piena autonomia, con il libero uso dei suoi strumenti critici. Su impulso di Luigi Dardani, allora vescovo di Imola, che, da giovane sacerdote, aveva cooperato con la Resistenza nella valle dell’Idice, si apre una stagione di studi e ricerche su quel periodo. Il nuovo clima si riverbera anche sulla vicenda di Montesole.

Lo palesa il libro, Le querce di Montesole, pubblicato nel 1986 da Luciano Gherardi, che dal 1970 ricopre il ruolo di vicario episcopale per la cultura nella diocesi di Bologna. I meriti del volume sul piano storiografico, in quanto approssimazione alla conoscenza di quanto realmente accaduto, sono tanti. Ne è una spia il persistente successo editoriale dell’opera, che dopo le ristampe del 1987 e del 1988, viene nuovamente pubblicata nel 1994 e poi nel 2014. Ma ciò non toglie che oggi possiamo anche indicare i limiti della sua tesi centrale.

Secondo l’autore quell’eccidio è rivelatore di un aspetto fondamentale dell’epoca: il sacerdote, rappresentante su tutti i piani della comunità in cui è inserito – dal piano religioso a quello civile, da quello assistenziale a quello educativo – partecipa pienamente alla sua vita, fino a condividerne la tragica sorte. La tesi non è priva di fondamento. Come oggi sappiamo, gli ecclesiastici presenti nell’area che fu poi teatro del massacro, invitati dall’arcivescovo ad abbandonare quel territorio per ragioni di prudenza, decisero di restarvi e alcuni di essi vi trovarono la morte. Tuttavia l’attribuzione a quei sacerdoti di una totale sovrapposizione religiosa, culturale e politica con le rispettive comunità richiede un supporto documentario che il volume non offre.

Si può anzi ritenere che ne sia ragione un elemento che poco ha a che fare con la storia. Gherardi in effetti ritiene che il riconoscimento del martirio dei sacerdoti che si sacrificano con loro comunità sia il punto di partenza per la rievangelizzazione di una società moderna che si è sempre più allontanata dalla Chiesa, giungendo al culmine di questa separazione proprio con la mostruosità delle stragi naziste. Non a caso introduce un parallelo tra la cristianizzazione di Bologna compiuta dal martirio dei santi Vitale e Agricola e la rievangelizzazione derivante dal riconoscimento del martirio dei sacerdoti che sono stati trucidati dai nazifascisti.

Si coglie qui che alla base della tesi di Gherardi sta l’adesione alla visione intransigente della storia come progressivo abbandono del cristianesimo. Su tale concezione si innesta poi l’altra convinzione: giunto al punto supremo di provocare il martirio di pastori che si identificano completamente con le loro comunità, questo decorso storico capovolge finalmente il suo indirizzo. Gli uomini contemporanei sono indotti da quella testimonianza di condivisione totale a ritornare alla fede cristiana. Insomma, una speranza pastorale, anziché una documentata acquisizione storica, sorregge la tesi centrale proposta da Le querce di Montesole.

Dossetti e il «delitto castale»

Ciò non toglie che il libro di Gherardi abbia gettato luce su tanti aspetti ignoti o mal conosciuti di quella vicenda. Possiede anche un merito ulteriore. È infatti preceduto da una lunga introduzione di Giuseppe Dossetti che fornisce un’interpretazione della strage come delitto castale. A suo giudizio le SS hanno compiuto l’eccidio in nome di quel principio razziale che avevano eletto a religione sostitutiva del cristianesimo. Si tratta di una lettura prossima alla ricostruzione che hanno poi proposto Luca Baldissara e Paolo Pezzino nel volume Il massacro pubblicato nel 2009.

I due storici pisani, al termine di una ricostruzione accurata, analitica e puntuale, sostengono che l’eccidio avvenuto sull’Appennino bolognese costituisce un episodio esemplare della moderna guerra totale, cioè una guerra volta non solo alla distruzione delle forze militari del nemico, ma al suo completo annientamento attraverso la cancellazione di ogni articolazione, anche economica e civile, della vita collettiva. Ma l’uccisione a Montesole dei civili, in particolare di donne, vecchi e bambini, trova un’adeguata spiegazione nella curvatura indiscriminatamente sterminazionista che alla guerra totale viene data dall’adesione dei nazisti alla religione della razza. In effetti proprio a questa ideologia si richiamano i membri della sedicesima divisione delle SS responsabili del massacro.

L’introduzione di Dossetti, oltre a richiamare l’attenzione sul nesso tra stragi naziste e religione secolare del regime hitleriano, contiene anche una forte sollecitazione a saldare la memoria di Montesole con i risultati di una rigorosa indagine storica. Vi si trova infatti l’appello a ricostruire la vicenda secondo quanto è effettivamente accaduto, cercando di evitarne una lettura dettata da schemi ideologici. Per quanto riguarda la Chiesa, si tratta di superare il suo coinvolgimento nella costruzione di una memoria pubblica dettata da istanze auto-assolutorie, anziché dal ripensamento del passato per evitarne gli errori.

Il «martirio per la libertà»

L’invito di Dossetti non ha trovato particolare fortuna nella Chiesa bolognese. Il libro di don Dario Zanini, Marzabotto e dintorni, uscito nel 1996, riprendeva piuttosto le indicazioni ideologiche proposte dall’allora arcivescovo di Bologna, cardinal Biffi. Un tratto della pedagogia politica della storiografia sulla Resistenza era costituito dalla sacralizzazione dei caduti nella guerra di liberazione: il ricorso al sintagma «martiri per la libertà» mostrava assai bene l’applicazione del linguaggio cristiano ad una dimensione politica. Biffi contrapponeva a questo uso una commistione del politico e del religioso che, pur diversamente declinata, non era meno ideologica. A suo giudizio occorreva mettere in rilievo il «martirio cristiano» cui, in ugual misura, tanto il totalitarismo nazista quanto quello comunista avevano sottoposto i credenti.

Si tratta di una concezione che ha ben poco a che fare con i risultati della ricerca storica: è ben nota – almeno a quanti hanno letto i documenti – l’indisponibilità della Chiesa dell’epoca (a partire da Pio XII, dall’episcopato tedesco e da quello italiano) ad accettare quella equiparazione del nazismo al comunismo cui pure, dopo un tormentato itinerario interiore, era giunto Pio XI poco prima della scomparsa. Ma senza soffermarsi sul più benevolo trattamento riservato dall’autorità ecclesiastica al nazismo rispetto al comunismo, conviene qui vedere le ricadute dell’impostazione formulata dal cardinal Biffi sulla ricostruzione della vicenda di Montesole pubblicata da don Zanini.

In primo luogo, nel sottolineare il forte contrasto tra i sacerdoti del territorio e i partigiani della brigata Stella rossa operanti nella zona, li qualificava indiscriminatamente come comunisti, senza considerare che il loro comandante Mario Musolesi, detto Lupo, aveva avuto grande cura nell’evitare ogni qualificazione politica del raggruppamento. In secondo luogo introduceva un’equiparazione tra l’uccisione di sacerdoti avvenuta e Montesole e quella perpetrata da bande di partigiani comunisti nel dopoguerra, senza minimamente accennare alle profonde differenze tra i due contesti.

Il religioso: nuove piste interpretative

Non è però caduto nel vuoto l’appello di Dossetti alla storia come via di approssimazione a quanto effettivamente successo, al fine di trarne insegnamento per una purificazione della Chiesa alla luce degli errori del passato. Ne costituisce un esempio il libro di don Angelo Baldassarri, Risalire a Montesole, apparso nel 2019. Non mi soffermo sulla restituzione del cammino intrapreso dalla Chiesa bolognese per integrare nella propria memoria quel tragico eccidio. Come ogni autentica ricerca di storia, si tratta di un avanzamento delle conoscenze, che apre la strada a domande e approfondimenti. Quel che vorrei sottolineare è piuttosto l’approccio.

Il libro non colloca la Chiesa al di sopra o al di fuori della storia; al contrario la pone all’interno della storia degli uomini, di cui condivide contraddizioni, debolezze, miserie e eroismi. Si tratta di una prospettiva storiografica ancora non molto praticata; ma leggere le stragi naziste all’interno di quest’ottica, liberando la ricostruzione dai condizionamenti politico-ideologici che l’hanno a lungo caratterizzata, apre significative piste interpretative. Mi limito a sottolinearne una.

Si può infatti rilevare che al progetto di annientamento della vita umana messo in atto dalla religione della razza dei nazisti, non si opponeva solo la resistenza armata condotta dai partigiani. Come ha ricordato Alessandra Deoriti in un saggio del 2016 intitolato Montesole dopo Montesole, ad essa contrastavano anche tutti gli atti di assistenza, carità, solidarietà e misericordia compiuti in una silenziosa, ma non per questo meno reale, antitesi a quel progetto distruttivo.

Soccombenti davanti alla violenza nazifascista, quanti hanno praticato questi comportamenti ci appaiono oggi come i testimoni di un’alternativa al totalitarismo che, senza ricorrere alle armi, era dettata da valori religiosi ad esso antitetici. Attestava l’impossibilità di una sua vittoria finale. Ma al contempo trasmetteva alle generazioni future un prezioso insegnamento di cristiana resistenza non-violenta.

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