Vai al contenuto

Rare Sibling: tra responsabilità, cura e desiderio di normalità, cosa significa essere fratello di un malato raro


di Chiara Stella Scarano Fonte: Sanità Informazione che ringraziamo

Dal 2018 OMAR dà voce alla categoria dei siblings: «La condivisione esperienziale strumento importantissimo per elaborare il proprio vissuto». Oggi un disegno di legge per il riconoscimento ufficiale dello status di sibling

Sono migliaia in Italia. Sono bambini, adolescenti, adulti, in un limbo faticoso tra pazienti e caregiver, in bilico costante tra l’esigenza di essere indipendenti e il desiderio di prendersi cura. Sono i Rare Siblings, i fratelli e le sorelle delle persone con una malattia rara. Una categoria alle cui istanze non è stato, per molto tempo, dato il giusto risalto, nonostante si tratti delle persone maggiormente coinvolte ed investite dal carico emotivo e concreto che comporta l’avere in famiglia un malato raro.

Il Progetto Rare Sibling, promosso da OMAR, l’Osservatorio per le Malattie Rare, si occupa dal 2018 di dar voce proprio a tutti i fratelli e sorelle che vivono a contatto con le patologie rare senza esserne “protagonisti”, aiutandoli in quel percorso, spesso complesso, fatto di vicinanza, assistenza, accettazione del proprio ruolo.

In occasione dei tre anni di attività del Progetto Rare Sibling si è tenuto un convegno online organizzato da OMAR con il contributo non condizionato di Pfizer per far luce su quanto svolto finora e per discutere dell’opportunità di istituire una Giornata Nazionale dedicata ai Rare Siblings: un’idea nata pochi mesi fa dalla senatrice Paola Binetti, dalla Società Italiana Pediatria (SIP) e da OMAR, concretizzatasi in un disegno di legge. Lo scopo, condiviso dalle associazioni dei pazienti, è quello di sensibilizzare ulteriormente famiglie, opinione pubblica e istituzioni sugli oneri che questo difficile ruolo comporta, e sull’importanza di iniziative che facilitino la condivisione di esperienze e il supporto tra siblings, che possono così sentirsi meno soli e, anzi, parte di una comunità.

Senso di colpa, consapevolezza di essere in qualche modo “trascurati” dai genitori assorbiti dalle esigenze (e dai progressi) del figlio malato. I rare siblings fanno i conti sin da piccoli con l’inevitabile sensazione di essere quelli meno bisognosi di attenzioni, di essere “quelli sani”, e di avere al tempo stesso un ruolo di grande responsabilità, sia nei confronti della famiglia, sia nei confronti del fratello o sorella malati: l’accudimento presente, ma soprattutto futuro, quando i genitori non ci saranno più. In aggiunta, la sensazione di essere tenuti a disturbare il meno possibile, a non creare ulteriori problemi.

L’importanza di un riconoscimento esplicito per i rare siblings

«Nel Piano Nazionale Malattie Rare e nei relativi decreti attuativi sarà molto importante che trovino spazio i rare sibling – osserva la senatrice Paola Binetti -. Una componente importante nel vissuto dei rare sibling è dato dal fatto che la maggior parte delle malattie rare ha una base genetica, di conseguenza queste persone hanno da un lato timore che la malattia possa manifestarsi anche in loro o nei propri figli, dall’altro convivono con l’interrogativo costante del perché non sia toccato a loro: una serie di riflessioni che inevitabilmente impattano sulla qualità delle relazioni, e che toccano in particolar modo il concetto di famiglia. Io credo che nei rare siblings sia concentrato il senso più alto della “famiglia” laddove queste persone si fanno portatori di senso di responsabilità, cura, collaborazione, ed è assolutamente necessario che gli si attribuisca un riconoscimento esplicito».

I risultati dei gruppi esperienziali

Nel 2021, con il Progetto Rare Sibling, sono proseguiti i lavori con i gruppi esperienziali online guidati dalla psicologa e psicoterapeuta Laura Gentile. L’obiettivo di questa parte del progetto è favorire l’aggregazione, il confronto e lo scambio tra rare sibling. Agli incontri, che si sono svolti da settembre a novembre, hanno partecipato giovani sibling divisi in due classi d’età: 14-18 anni e 19-27 anni.

«Quando si aiuta qualcuno allo stesso tempo si riceve aiuto. Condividere la propria esperienza modifica l’altro e porta a modificare se stessi con un effetto boomerang – spiega Gentile -. La metodologia alla base dei gruppi esperienziali online è quella dell’auto mutuo aiuto, che prevede parità e mutualità, con in più l’elemento della presenza dello psicologo che consente un maggiore livello di approfondimento interpretativo».

«I contenuti portanti emersi nei gruppi – continua la psicologa – sono stati l’arricchimento e insieme la limitazione derivante dal rapporto coi fratelli, la paura della perdita, la sensazione di diversità dai coetanei, una resilienza e maturità troppo precoce, un senso di colpa e di inadeguatezza, la voglia di vivere una quotidianità normale. Per quanto riguarda invece i risultati dei gruppi di siblings – conclude Gentile – dalla condivisione è emersa la riduzione del senso di isolamento, il sollievo e la legittimazione nel provare una serie di sentimenti e sensazioni, la comprensione di nuove strategie per affrontare le reciproche situazioni».

La conoscenza dei pediatri italiani sulle questioni legate ai rare sibling

«Circa l’80% delle malattie rare è di origine genetica e la maggior parte si manifesta in fase prenatale, alla nascita o comunque durante l’infanzia. I pediatri hanno quindi un’importanza fondamentale per i pazienti e le loro famiglie, nella fase di sospetto diagnostico, di presa in carico e di supporto. Per capire qual è la profondità di conoscenza dei pediatri italiani sulle malattie rare e in particolare delle problematiche dei sibling, la Società Italiana di  Pediatria (SIP) e la Società Italiana di Malattie Genetiche Pediatriche e delle Disabilità congenite (SIMGePeD) in collaborazione con OMaR hanno realizzato una survey» ha spiegato nel corso dell’evento Luigi Memo, Segretario del GdS di Qualità delle Cure della Società Italiana di Pediatria.

«I risultati preliminari su un campione di 233 pediatri confermano che nella grande maggioranza dei casi il pediatra italiano conta un discreto numero di pazienti con malattia rara fra i suoi assistiti, che la malattia rara comporta in questi pazienti quasi sempre una disabilità e che la conoscenza delle malattie rare da parte dei pediatri italiani si può definire buona/alta, ma ancora molto c’è da fare sul tema dei sibling. Dal questionario emerge infatti che, se da una parte oltre il 90% delle famiglie considera il pediatra come punto di riferimento per il figlio affetto da malattia rara, meno di un genitore su due esprime al pediatra il peso e le difficoltà degli altri fratelli. Ne consegue che anche i pediatri italiani vorrebbero essere più preparati ad affrontare in maniera proattiva il problema dei sibling. A conferma di ciò il 99% dei pediatri intervistati ritiene interessante partecipare ad iniziative di formazione su temi legati alle malattie rare e ai rare sibling».

Un progetto italiano da esportare

«I fratelli rari riscontrano maggiori difficoltà rispetto ai loro coetanei in quanto vi è una minore conoscenza sulle malattie rare, hanno meno possibilità di scambio e confronto con altre famiglie, e di conseguenza vengono spinti sempre più verso l’isolamento – ha dichiarato infine Ilaria Ciancaleoni Bartoli, Direttore dell’Osservatorio Malattie Rare -. Inoltre, mentre le famiglie con patologie più conosciute e diffuse spesso ricevono sostegno da gruppi e organizzazioni specifici anche all’interno dei centri di cura, questo è molto raro per le malattie rare, dove lo sforzo maggiore è quello di fornire una soluzione terapeutica. Rare Sibling, allora – ha concluso – può diventare un modello ‘italiano’ esportabile in tutta Europa grazie al suo lavoro quotidiano».

(Visited 52 times, 1 visits today)

Lascia un commento