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AAA…”Voto cattolico” cercasi

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di A.B.Simoni* da Koinonia 2.9.2022

AAA… “VOTO CATTOLICO” CERCASI

1 – Considerazioni del momento di A.B.Simoni

La fede è politica in quanto fede,

non è fede in quanto politica

La storia ci dice che la fede della chiesa si è espressa quasi subito in qualche forma politica, ed è forse per questa sua dimensione pubblica che si è presentata come “cristianesimo” e poi come “cristianità”. Ora siamo in un’epoca in cui queste due facce sono sbiadite, e la fede della chiesa, nonostante tutte le resistenze e le idealizzazioni, o decade del tutto insieme alle sue forme storiche o si ripiega su se stessa, nel suo involucro religioso, che la mette  fuori della storia, pronta magari a farsi soccorritrice. Questo lascia capire come mai l’originaria valenza politica della fede sia   come evaporata, per lasciare campo libero a scelte umanitarie, nel pre-politico (come si diceva una volta!), nel volontariato, nei movimenti a sfondo spirituale con ambigui e inconfessati risvolti politici.

La cartina di tornasole  dello stato delle cose al momento attuale ci è data dalle manovre e dai pronunciamenti pre-elettorali in vista del 25 settembre, quando sembra si sia riaperta la caccia ai “cattolici” che peraltro sembrano usciti di scena e non sono più quel bacino di voti a cui potevano attingere forze politiche di ispirazione cristiana, e questo grazie anche ad appelli della gerarchia ecclesiastica da ultima spiaggia. A chi penserebbero ora di rivolgersi i vescovi, salvo dire ai cristiani di andare a votare? Quando appunto si ripropone una “questione cattolica”, non tanto per qualche “non expedit” o disimpegno da ogni partecipazione alla cosa pubblica (ma anche questo con significato politico!), quanto piuttosto dalla cancellazione di “cattolici” come categoria pubblica, salvo l’arroganza e l’impudenza di capi partito che dichiarino il proprio “credo” da “ultimi cristiani” in circolazione.

Stando così le cose, non c’è da sorprendersi che a livello di stampa si continui a viaggiare e scrivere secondo vuoti schemi  e antiche problematiche; e che da parte  delle gerarchie ci si faccia vanto di seguire la linea sociale di Papa Francesco  e a presentare una chiesa umanitaria come espressione massima ed esclusiva di vangelo. Ma anche se tutto sembra procedere a gonfie vele, è chiaro che qualche problema bisognerebbe porselo, in quanto il deficit di significato “politico” della chiesa altro non è se non la spia di insignificanza della fede stessa, che però non può essere disinnescata del suo potenziale salvifico. Quando il papa parla di “mondanizzazione” della chiesa, c’è da chiedersi se questa non avvenga proprio attraverso visioni, schematismi e logiche di buonismo e perbenismo, che sono sì di derivazione evangelica, ma che mancano di realismo storico come il vangelo richiederebbe.

In sostanza, se ogni epoca ha avuto una sua “versione” politica del vangelo, forse la chiesa di oggi non ha trovato una sua giusta espressione, e l’abbandono di formule storiche di presenza nel mondo lasciano semplicemente il vuoto e spengono perfino la consapevolezza di una necessità rimossa, fino ad idealizzare una chiesa finalmente a-politica e tutta umana. Le premesse e gli orientamenti del Vaticano II sono senz’altro di segno diverso, ma a parte sviluppi significativi qua e là (viene da pensare alla Teologia della liberazione e simili), certamente non è maturata una coscienza nuova di credenti  da questo punto di vista, quando sarebbe prerogativa primaria del Popolo di Dio maturare tutto questo in prospettiva laicale. Anche per uscire dal controsenso che a stabilire il modo di essere della Chiesa nel mondo  siano  sempre e comunque interventi e direttive dall’alto (non a caso di parla di epoca riuniana!).

E’ possibile che questo Popolo – o chi per lui  standoci dentro – riesca ad interpretare il proprio ruolo messianico?  Ma in realtà, quale è il Popolo a cui poter fare appello per incamminarci verso una presa di coscienza e una assunzione di responsabilità nei confronti del mondo, vangelo alla mano? Possiamo continuare a credere che su questo piano tutto sia fatto, semplicemente perché  possiamo rifarci ad  elaborazioni ideali, che però non hanno una ricaduta effettiva nelle mentalità e nelle attitudini della base? Basta del resto scomodare personaggi  e testimoni noti e ripetutamente evocati, per colmare le nostre lacune o per mutuarne stili di presenza fuori tempo? Non saremmo per caso noi le prime vittime di uno spreco di idealità inafferrabili e di slogans che ci portano fuori del mondo? Cosa riusciamo a dire di fatto come corpo ecclesiale e comunità di credenti sulla situazione nella quale siamo immersi? “I care” e “segni dei tempi” sono due formule  di successo, ma quale è in realtà il loro impatto sulla esistenza storica del Popolo di Dio  e sulla sua vocazione messianica? E quale l’impatto di questo Popolo in quanto partecipe delle gioie e delle pene del mondo?

Perché di questo si tratta: di essere portatori ed interpreti di questa vocazione messianica dall’interno nella propria storia  e non più secondo modalità che potrebbero aver fatto il loro tempo. A volo di uccello viene da dire che interpreti di questo messianismo – salvo il periodo delle origini con la testimonianza pubblica di martirio – interpreti successivi sono stati imperatori, papi, vescovi, un magistero di dottrine sociali, personalità e movimenti laici fino a partiti  politici di ispirazione cristiana, tutte mediazioni e strumenti  di presenza e di intervento “salvifico” nel mondo. E’ quanto va sotto il nome di “mondo cattolico” e di “questione cattolica”. Ma è chiaro che queste modalità di presenza e di azione della chiesa nel mondo si rivelano sempre più datate e accessorie, più dimostrative che reali. Perché, se cambiano le situazioni storiche, non meno mutevoli sono le condizioni interiori della chiesa, per cui la sua valenza politica  non può esprimersi in forme ormai  fuori uso, ma va ricreata dall’interno: diversamente, che senso avrebbe parlare di evangelizzazione? Non sarebbe male andare a vedere se e quanto una coscienza messianica dia segni di vita nelle relazioni sinodali!

La domanda d’obbligo di oggi è perciò se il Popolo di Dio in quanto tale possa e debba essere il soggetto primario della funzione messianica insita nella sua fede.  Il problema quindi si sposta, al di là di direttive etiche e dottrine sociali, per una nuova presa di coscienza e assunzione di responsabilità quanto al proprio servizio messianico per la salvezza del mondo. E’ il corpo ecclesiale al suo interno  che  deve cambiare e che forse potrebbe trovare il suo codice di cambiamento  nella “Pacem in terris”: attraverso un coinvolgimento maturo nella vicenda politica con coscienza cristiana, secondo giustizia e verità, in libertà e solidarietà..  Ma dov’è questo Popolo e dove la preoccupazione per farlo rinascere con una coscienza nuova, quella messianica?

La scadenza elettoriale ha riproposto la “questione cattolica”, di cui si è fatto voce Andrea Riccardi con l’articolo sul Corriere della sera del 17 agosto “Questione cattolica, una centralità da ritrovare”, dicendo che la dissoluzione della DC nel 1994 “ha aperto una nuova stagione, determinando l’eclissi della questione cattolica”. Che la questione sia ormai periferica nella politica è un dato di fatto; che si sia aperta una nuova stagione è ancora tutto da vedere, se lo stesso Riccardi parla  di una Chiesa “del fare, del credere, del pregare, dell’intreccio di legami sociali, che è ancora una risorsa civile di valore”, che stenta però a  tradursi in discorso pubblico. Forte della sua esperienza di Sant’Egidio, Riccardi sembra prevedere questo passaggio dal sociale al politico, ma lasciando pensare al ricorso ad antiche formule: non a caso ripropone la “questione cattolica” senza interrogarsi su come si presenta oggi.

Ci pensa Ernesto Galli della Loggia (L’eclisse cattolica in politica, Corriere della sera, 29 agosto) a sgombrare il campo da riedizioni sognate, quando dice che “in Italia esiste un mondo cattolico che pensa, che scrive, che produce opere di ogni genere: ma nel discorso pubblico è un mondo pressoché assente“. E soprattutto quando invita Riccardi a chiedersi quale sia la ragione di questa eclisse cattolica, dando questa risposta: ”Perché ormai l’identità cattolica appare qualcosa di talmente fluido da essere divenuta priva di connotati precisi, indefinibile, e quindi incapace di porsi come una vera protagonista del dibattito. Per esistere bisogna consistere, infatti”. E questo egli lo dice guardando come stanno e come vanno le cose dentro la chiesa dall’esterno.

Ma proprio questa analisi storica e laica sta a farci capire che la questione è prima di tutto teologica ed ecclesiale, in quanto una dimensione politica  è intrinseca alla fede nella sua valenza messianica,  e il Popolo messianico di Dio deve trovare la capacità e il modo di esprimerla, non come rattoppamenti esteriori su un vestito logoro, ma come emanazione di una fede vissuta  nella sua pienezza storica ed escatologica, appunto in senso messianico. E’ quanto l’enciclica “Pacem in terris” ci dimostra e ci rende possibile, se vogliamo tornare ad essa  come strumento di formazione di una coscienza messianica nuova. 

In questo testo troviamo anche le indicazioni necessarie per una “ricomposizione unitaria nei credenti tra fede religiosa e attività a contenuto temporale”. E’ il n.79 con cui possiamo sospendere per ora questo nostro discorso: “Nelle comunità nazionali di tradizione cristiana, le istituzioni dell’ordine temporale, nell’epoca moderna, mentre rivelano spesso un alto grado di perfezione scientifico-tecnica e di efficienza in ordine ai rispettivi fini specifici, nello stesso tempo si caratterizzano non di rado per la povertà di fermenti e di accenti cristiani. È certo tuttavia che alla creazione di quelle istituzioni hanno contribuito e continuano a contribuire molti che si ritenevano e si ritengono cristiani; e non è dubbio che, in parte almeno, lo erano e lo sono. Come si spiega? Riteniamo che la spiegazione si trovi in una frattura nel loro animo fra la credenza religiosa e l’operare a contenuto temporale. È necessario quindi che in essi si ricomponga l’unità interiore; e nelle loro attività temporali sia pure presente la fede come faro che illumina e la carità come forza che vivifica”.

Quindi è dentro le “attività temporali” e dentro la politica che devono agire la fede e la carità, nella loro assoluta originalità e trascendenza, ma al tempo stesso nella loro totale immersione e immanenza storica! Teologia della liberazione docet!

*Alberto B.Simoni op

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