La lunga battaglia contro la malaria, tra sfide vinte e ancora aperte
Da quando la sua eziologia è stata descritta per la prima volta più di 100 anni fa, la malaria è diventata una delle malattie infettive più conosciute al mondo. Tuttavia, nel 2019 ci sono stati ancora più di 620.000 decessi e circa 230 milioni di casi in tutto il mondo, quasi tutti nell’Africa subsahariana
di Stefano Piazza
L’anno scorso Cina ed El Salvador sono stati certificati indenni dalla malaria e i sei paesi della regione del Grande Mekong, tra cui Vietnam e Thailandia, hanno ridotto i casi di circa il 90%. Si prevede che circa 25 paesi avranno eliminato la malaria entro il 2025. La Cina è il primo paese della regione del Pacifico occidentale dell’OMS a ricevere una certificazione senza malaria in oltre 3 decenni. Altri paesi della regione che hanno raggiunto questo status includono Australia (1981), Singapore (1982) e Brunei Darussalam (1987). Per la Cina si tratta di uno sforzo durato 70 anni e secondo l’OMS «si tratta di un’impresa notevole per un paese che ha riportato 30 milioni di casi di malattia all’anno negli anni ’40».
A questo proposito il dott. Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’OMS scrisse: «Oggi ci congratuliamo con il popolo cinese per aver liberato il paese dalla malaria. Il loro successo è stato duramente guadagnato ed è arrivato solo dopo decenni di azioni mirate e sostenute. Con questo annuncio, la Cina si unisce al numero crescente di paesi che stanno mostrando al mondo che un futuro libero dalla malaria è un obiettivo praticabile».
Ma cos’è la malaria?
La malaria è una malattia infettiva causata da cinque distinti protozoi, appartenenti al genere Plasmodium, che vengono trasmessi all’essere umano attraverso la puntura di zanzare femmine del genere Anopheles. Questi insetti vettori si infettano quando pungono un individuo malato per poi trasmettere con una seconda puntura l’infezione ad una persona sana. Una volta avvenuto il contatto con il soggetto sano i parassiti entrano nel sangue, migrano verso il fegato e penetrano nelle cellule del fegato, dove proliferano a dismisura. Quest’ultimo processo dura all’incirca 2-4 settimane, poi i «parassiti figli» fuoriescono dalle cellule epatiche, invadono il circolo sanguigno ed entrano nei globuli rossi. Da notare che in molte aree dove la malaria è endemica il parassita malarico lo si trova tutto l’anno, con picchi stagionali, influenzati dalle piogge e dall’umidità.
Quali sono i sintomi della malaria?
La malattia si caratterizza con un periodo di incubazione di 8-14 giorni, e gli episodi di malaria possono, in un anno, verificarsi anche a 4-6 volte. La sintomatologia varia da episodio febbrile di media entità sino al coma, ai disturbi respiratori, anemia severa e grave, insufficienza renale. Specie nei bambini la malaria cerebrale, associata a disfunzione di altri organi, porta alla morte nel 10-20% dei casi o lascia postumi invalidanti nel 25% dei casi. Contrarre la malaria mentre si è in gravidanza può portare all’aborto spontaneo, alla morte del feto, o al parto prematuro.
Nel 2020 quasi 12 milioni di bambini africani ha ricevuto farmaci preventivi
Oggi la maggior parte delle infezioni si verificano in Africa come recentemente raccontato sul New York Times e, nonostante i limiti imposti dalla pandemia di coronavirus, nel 2020 quasi 12 milioni di bambini africani in più hanno ricevuto farmaci preventivi contro la malaria rispetto al 2019. Secondo molti esperti, questa persistenza nel continente africano riflette fattori come la resistenza agli insetticidi e ai farmaci, nonché l’accesso insufficiente a beni essenziali come reti trattate con insetticidi e farmaci efficaci. Fondamentalmente, tuttavia, questa narrazione ignora molte debolezze centrali nella lotta contro la malaria e rafforza invece una visione ristretta.
Le sfide dell’Africa nella lunga lotta alla malaria
L’epidemiologia della malaria in Africa presenta sfide di gran lunga maggiori che altrove e richiede iniziative specifiche al contesto su misura per obiettivi nazionali e subnazionali. Nello studio intitolato «Cosa può fare l’Africa per accelerare e sostenere i progressi contro la malaria» (pubblicato da Plos Global Public Health ) leggiamo: «Per sostenere il progresso, i paesi africani devono affrontare sistematicamente le principali debolezze dei loro sistemi sanitari, migliorare la qualità e l’uso dei dati per le risposte di sorveglianza, migliorare le competenze tecniche e di leadership per il controllo della malaria e ridurre gradualmente l’eccessiva dipendenza dalle materie prime espandendo al contempo iniziative multisettoriali come miglioramento dell’edilizia abitativa e dei servizi igienico- sanitari».
Inoltre si legge: «Devono anche sfruttare maggiori finanziamenti da fonti nazionali e internazionali e sostenere gli sforzi fondamentali di ricerca e sviluppo a livello locale. Vaccini e farmaci efficaci, o altre tecnologie potenzialmente trasformative come le zanzare geneticamente modificate, potrebbero accelerare ulteriormente il controllo della malaria integrando gli strumenti attuali. Tuttavia, le nostre strategie sottostanti rimangono insufficienti e devono essere ampliate per includere approcci più olistici e specifici del contesto, fondamentali per ottenere e sostenere un controllo efficace della malaria».
Arriveranno (ma non subito) nuovi vaccini
Lo scenario però potrebbe presto cambiare con l’arrivo di due nuovi vaccini che fanno presagire un cambiamento epocale. Il primo, chiamato Mosquirix, dopo 35 anni di sperimentazioni è stato approvato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità solo l’anno scorso e potrebbe essere distribuito alla fine del prossimo anno. Il secondo vaccino contro la malaria (più potente), invece è stato sviluppato dal team di Oxford, che ha creato anche il vaccino AstraZeneca Covid, potrebbe essere disponibile tra un anno o due. Molti esperti ritengono che questa formulazione, che ha dimostrato un’efficacia fino all’80 per cento negli studi clinici, può trasformare la lotta contro la malaria. Ma non è tutto perché altri vaccini sono allo studio, incluso un vaccino mRNA sviluppato dalla società tedesca BioNTech; anticorpi monoclonali che possono prevenire la malaria per sei mesi o più, oltre alle reti da letto rivestite con insetticidi a lunga durata o con prodotti chimici che paralizzano le zanzare; così come nuovi modi per intrappolare e uccidere le zanzare.
Ma nessuno si illuda perché per liberare il mondo dalla malaria ci vorranno nuovi investimenti in molti paesi africani e andranno fatti enormi sforzi per distribuire i vaccini, farmaci e zanzariere senza dimenticare che tutto richiede il superamento di una miriade di sfide quali le altre priorità mediche e anche la disinformazione.
Resta molto lavoro da fare
Sebbene i finanziamenti per i programmi contro la malaria siano più generosi che per molte altre malattie che affliggono le nazioni più povere, le risorse sono ancora molto limitate. Ad esempio lo sviluppo di Mosquirix è costato oltre 200 milioni di dollari in più di 30 anni fa, ma la sua efficacia è circa la metà di quella del vaccino Oxford, chiamato R21. Le prime dosi di Mosquirix non verranno somministrate ai bambini africani fino alla fine del 2023 o all’inizio del 2024. La fornitura secondo gli esperti sarà gravemente limitata per una serie di motivi e si prevede che rimarrà tale per anni. A dicembre, Gavi, un’organizzazione non governativa che sostiene le vaccinazioni in tutto il mondo, ha stanziato 156 milioni di dollari per distribuire Mosquirix.
E ad agosto, l’Unicef ha concesso al produttore del vaccino, GlaxoSmithKline, un contratto da 170 milioni di dollari, sufficienti
per produrre 18 milioni di dosi nei prossimi tre anni. Ma questo è ben lontano dalle 100 milioni di dosi stimate che saranno necessarie ogni anno. L’R21, il secondo vaccino, sembra essere più potente, più economico e più facile da produrre. E il Serum Institute of India è pronto a produrre più di 200 milioni di dosi di R21 all’anno. Alcuni esperti di malaria osservano che, data l’urgenza, il mondo ha bisogno di ogni opzione possibile.
Ma altritemono che ogni dollaro diretto a Mosquirix ora sia un dollaro in meno per lo sviluppo di altri strumenti. Al New York Times il dottor Javier Guzman, direttore per la politica sanitaria globale presso il Center for Global Development di Washington ha affermato: «Le misure di controllo della malaria esistenti sono già sottofinanziate. Non voglio essere negativo, ma un nuovo strumento senza finanziamenti aggiuntivi significa sostanzialmente sacrifici e significa sprecare delle opportunità».