Priorità in Italia: la denatalità
Fonte: ISTAT, DOTTNET | 27/10/2022 18:38
Guerra, pandemia e l’attuale crisi economica hanno ulteriormente aggravato il fenomeno della denatalità, che adesso è diventata una priorità assoluta. I neonati non sono ancora al centro degli obiettivi del nostro Paese e continueranno a non esserlo se non si cambia rotta rapidamente, con politiche strutturali di sostegno alla famiglia e soprattutto ai giovani. L’assegno unico universale ha rappresentato un grande passo avanti, ma da solo non basta. La denatalità è una vera e propria emergenza sociale e come tale deve essere affrontata. Non può essere considerato un problema tra gli altri. Non è una questione meramente demografica ma sociale, economica e culturale. L’Italia non è un paese per bambini!”. .
La guerra in Ucraina, infatti, è solo l’ultima delle grandi emergenze che nell’ultimo decennio in particolare, ma già dalla fine degli anni ’90 del secolo scorso, hanno contribuito a ridefinire l’evento nascita e ancora di più l’infanzia. Le immagini che da febbraio ci giungono dal cuore dell’Europa e soprattutto l’impatto sull’economia, con la crisi energetica e delle materie prime, hanno ulteriormente aggravato una situazione già drammatica e gli effetti sulla natalità non tarderanno a farsi sentire. Secondo i dati provvisori ISTAT per il primo trimestre 2022, a marzo il calo delle nascite è al massimo: -11,9% rispetto allo stesso mese del 2021.
Il conflitto è arrivato quando il nostro Paese stava appena uscendo dalla pandemia, di cui stiamo ancora contando i danni, Due anni e mezzo terribili, che hanno colpito in particolar modo i nostri piccoli. I lockdown, le mascherine, i vaccini, veder soffrire e morire i propri cari, interrompere le attività ludico-ricreative per lunghi mesi, la didattica a distanza. I centri nascita sono stati messi a dura prova, ma i neonatologi italiani non si sono fatti trovare impreparati, riuscendo a gestire l’emergenza nelle Terapie Intensive Neonatali e nei reparti materno-infantili“. Il vero problema, però, a cui la pandemia e gli effetti della guerra hanno dato una forte accelerazione è la scarsità di risorse. Un problema che riguarda tanti paesi del mondo, ma a cui non sfugge anche il nostro.
In Italia ci sono circa 1,4 milioni di minori in condizioni di povertà assoluta su 9,3 milioni di residenti (14,2%) secondo gli ultimi dati Istat. Un dato allarmante, confermato anche dal primo report sull’Assegno unico universale dell’INPS, secondo cui circa il 45% dei figli percettori dell’assegno appartiene a nuclei con ISEE inferiore ai 15.000€, cioè sotto la soglia di povertà. Povertà che si traduce, nella maggior parte dei casi, in difficoltà di accesso all’istruzione, anche superiore, e al lavoro (siamo, infatti, il Paese con il maggior numero di NEET, oltre 2 milioni), alle cure sin dai primi mesi di vita, ma anche ad altre opportunità, producendo gap che difficilmente saranno recuperati.
Se diminuiscono i bambini, paradossalmente, invece di aumentare la qualità delle cure si investe di meno nelle infrastrutture sociali e sanitarie connesse. Intanto le nascite continuano a diminuire, così come il numero di figli per donna, sceso nel 2021 a 1,24. In nessuna provincia d’Italia oggi si raggiungono i 2 figli per donna, anche se non è una novità. È dal 1975, infatti, che non si registra un tasso di fecondità superiore a 2 e, dato ancora più drammatico, mancano all’appello le madri “potenziali”, cioè quelle donne che in questi anni avrebbero fra i 25 e i 44 anni.