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Nel 50° della prima legge sulla obiezione di coscienza: “contrari alla forza davanti alla quale la carne degli uomini si ritrae …”

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Nel 50° della prima legge sulla obiezione di coscienza: “contrari alla forza davanti alla quale la carne degli uomini si ritrae …”

di Francesco Domenico Capizzi*

Pur stabilito nella nostra Costituzione, all’articolo 11, il “ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…”, per decenni non è stata evitata la penalizzazione della libertà di coscienza nel rispondere alla coscrizione militare obbligatoria.  Infatti, la prima norma che inizia a disciplinare formalmente l’obiezione di coscienza risale al 15 dicembre 1972 con la legge n. 772.

Si dovrà attendere il D.P.R. del 28 novembre 1977 n. 1139 per ottenere le norme di attuazione della legge 15 dicembre 1972, n. 772, sul riconoscimento dell’obiezione di coscienza“.

In sostanza, agli obiettori viene riconosciuta la facoltà di optare per il servizio civile, però della maggior durata di otto mesi in aggiunta al normale periodo del servizio militare. La norma fu, però, dichiarata incostituzionale dalla Consulta il 19 luglio del 1989: “…una sanzione conseguente ad una particolare espressione della persona, nel più aperto contrasto sia con il principio di eguaglianza che con il diritto di libera manifestazione del pensiero, dando vita ad un’ingiustificata valutazione deteriore delle due forme di servizio alternativo a quello armato”.

Bisognerà, ancora, attendere l’8 luglio del 1998 per ottenere pienamente il diritto all’obiezione di coscienza non come beneficio concesso, ma come diritto ad “essere contrari all’uso personale delle armi”.

Nell’appena trascorso 50° anniversario del riconoscimento del Diritto all’obiezione di coscienza, e a fronte degli attuali 59 focolai di guerra nel Mondo (oltre alle guerre “principali”: Afghanistan, Myanmar, Yemen, Etiopia, Ucraina), si continua a porre comunque per l’Italia la questione della fabbricazione e della vendita di armi verso tanti Paesi, in larga parte al di fuori dei Paesi NATO, fra cui la coalizione saudita che le ha utilizzate nello Yemen almeno fino al 29 gennaio 2021, quando il nostro Governo, con un atto di portata storica, ne ha revocato le autorizzazioni.

Su questa strada, per l’Italia, si tratta di continuare ad applicare ed estendere i principi che proibiscono l’esportazione e il transito di armi verso Paesi che violano i Diritti umani (leggi 185/1990 e 374/1997; Trattato di Ottawa, 1997, rifiutato da 36 Stati fra cui Cina, India, Pakistan, USA, Federazione Russa), di porre le basi per rinunciare all’esportazione di armi, con il corrispettivo fatturato annuo di circa 5 miliardi di euro, e, intanto, rendere del tutto trasparente la loro produzione e vendita davanti al Parlamento.

Obiezione di coscienza e periodiche puntuali informazioni istituzionali sulle caratteristiche delle armi, in Italia fabbricate e commercializzate, possono sortire l’effetto di privilegiare la via internazionale del dialogo, delle trattative e degli accordi favorendo così le convivenze pacifiche fra Stati e popoli sempre più “contrari alla forza davanti alla quale la carne degli uomini si ritrae” riducendola miseramente a “cosa” (Simone Weil, “Le cose come sono. L’Iliade della forza in “Etica, politica, religione” di G. Gaeta, Scheiwiller ed., 2008).
La guerra è una sconfitta per tutti, nessuno davvero è vincitore se non la guerra stessa!

*già docente di Chirurgia generale nell’Università di Bologna e direttore delle Chirurgie generali degli Ospedali Bellaria e Maggiore di Bologna

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