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Primitivismo nelle arti visive occidentali: “ drammatico, dai mille tormenti e altrettante contraddizioni…”  

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Primitivismo nelle arti visive occidentali: “ drammatico, dai mille tormenti e altrettante contraddizioni…”  

di Manfredi Lanza*

Le arti visive dell’Otto e Novecento, segnatamente la pittura, sono state impattate da fascinazioni di modelli «primitivi» e connotate da conseguenti mode.

Per «arte primitiva» s’intende l’arte ingenua espressa da civiltà degli albori preclassici, preaccademici o extra accademici. I modelli «primitivi», che hanno impressionato e ispirato i moderni e dai quali i moderni hanno più attinto nel loro operare, sono stati prevalentemente di tre diversi ordini: alto e basso medioevo occidentale, arte delle stampe giapponesi, manufatti lignei africani.

Le «giapponeserie» sono divenute di moda, specie in Francia, sin dallo scadere del Settecento e si può dire abbiano provocato a fine Ottocento la conversione alla luminosità e al colore di Vincent Van Gogh. Il cosiddetto «art nègre» ha fatto furore, sempre in Francia, nel primo Novecento, incidendo in particolare sul cubismo picassiano. Più discreta e sottile è stata l’influenza di stilemi dell’arte medievale, in particolare su italiani, quali Amedeo Modigliani.

Van Gogh ha creduto di aver trovato il suo Giappone ad Arles, dove, da principio, ha dipinto alberelli da frutto in fiore. Modigliani usava dire che il disegno è l’intelligenza nella pittura e, dall’arte medievale, ha derivato proprio principalmente la prevalenza del disegno e della linea continua sul colore. Picasso ha scoperto che la rozzezza volumetrica delle sculture e maschere africane in legno anticipava sbalorditivamente l’impostazione geometrizzante inaugurata nell’Occidente moderno da Cézanne, ossia l’interpretazione cubista della realtà.

Della mentalità, cultura e sensibilità «primitive» in genere, attraggono anzitutto la grande libertà e disinvoltura, la totale mancanza di ritegno e complessi nell’a- strazione figurativa, la serenità di spirito e l’ottimismo fideistico che ciò implica. I «primitivi» praticano l’astrattismo sistematicamente nella resa della figura. La figura, specie umana, è tuttavia sempre centrale, sempre essenziale, nelle loro raffigurazioni. Fanno anche dell’astrattismo geometrico non figurativo, ma solo accessoriamente e in funzione decorativa.

La loro prerogativa dominante è la fede o credenza in un mondo sostanzialmente stabile , immobile ed eterno; in un mondo antropocentrico, con limitato spazio e fuori dal tempo. La modernità è subentrata quando hanno preso a profilarsi dubbi rispetto all’antropocentrismo e soprattutto geocentrismo del reale e sulla stabilità in genere nell’universo e dello stesso universo. Già Eraclito aveva dato l’allarme nel quinto secolo prima della nostra era, proclamando che tutto è in divenire. Ma è stato poco ascoltato e accettato nell’antichità in cui la hanno fatta da padroni Platone («Nul n’entre ici s’il n’est géomètre») e Aristotele. Ancor meno ascolto ha avuto nel medioevo cristiano. L’edificio tradizionale della cultura umana ha cominciato a tremare, per subire poi un vero e proprio terremoto, quando lo spirito critico e la ricerca scientifica hanno preso il passo sulla religione, cioè dal tardo medioevo al Rinascimento toscano, a seguire con il Cinque e Seicento, poi dal Settecento ai nostri giorni. Sono subentrati il realismo, il barocco, infine l’impressionismo e l’espressionismo; questi ultimi comunque pervasi da una nostalgia primitivistica ricorrente, che la dice lunga su quanto il movimentismo e relativismo d’arrivo dell’esperienza culturale umana siano difficili da vivere, sostenere e sottoscrivere. L’uomo assolutamente fatica a non concepirsi e riconoscersi creato da un Dio.

L’arte astratta moderna è quella che prescinde da premesse metafisiche o, sorvolando sulle questioni di fede, si svolge «come se Dio non ci fosse». L’artista astratto dei nostri tempi è un agnostico, che diffida della divina creazione e punta a creare invece, di suo, un «mondo nuovo», di cui si illude possa essere maggiormente credibile e impeccabile, più degno di convinta adesione. In altre parole, è un perfezionista eminentemente presuntuoso. È un «ottimista» che punta all’umano, mentre il «primitivo» era un ottimista che confidava nel sacro. Se l’ottimismo dei primitivi era sereno, quello dell’astrattista moderno è invece drammatico, attraversato da mille tormenti e altrettante contraddizioni: un ottimismo volontaristico, tanto per fare e che si morde, comunque, la coda.

*già funzionario del Parlamento europeo.

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