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Medicine alternative e/o complementari

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Medicine alternative e/o complementari

di Manfredi Lanza*

Negli ultimi decenni, frequentando i servizi sanitari, gli ospedali, le cliniche, i poliambulatori, il cittadino di età avanzata, educato negli anni Cinquanta o Sessanta del secolo scorso al banale rigore scientifico, può avere avuto la sorpresa di sentirsi proporre l’agopuntura cinese o cure omeopatiche.

Avanzano alla grande, nelle nostre società occidentali, le medicine alternative, in via quanto meno complementare. Wikipedia, oltre all’agopuntura e all’omeopatia, enumera: fitoterapia, medicina antroposofica, ayurvedica, tradizionale cinese, omotossicologia, chiropratica, posturologia. Ma vi sono diverse altre tipologie di medicine e terapie non convenzionali, oltre una cinquantina; e, se ogni anno alcune scompaiono dal perimetro dell’offerta, altre se ne aggiungono.

Come mai? Come si spiega che queste linee alternative o complementari di cura prendano sempre più piede, nel senso di essere sempre più apprezzate e ricercate dalla clientela e sempre più accettate, sia pur solo in via ausiliare, dagli organi della sanità occidentale?

Wikipedia pone l’accento sull’approccio olistico di queste medicine, mentre la medicina ufficiale dell’Occidente è marcatamente settoriale e allopatica. Essa ha avuto il suo sviluppo fondante tra la fine del Settecento e l’Ottocento, periodo storico-culturale in cui è generalmente prevalsa in Occidente una concezione materialistica della realtà, anche di quella umana.

Nel Novecento, gli stessi sviluppi della scienza – specie a partire dalle teorie della relatività di Einstein e con la fissione dell’atomo – hanno indotto un ampio processo di revisione, che, per alcuni versi, configura come un recupero del passato.

In medicina si è fatta strada la nozione di «effetti psicosomatici»: si è, cioè, verificato l’effetto benefico o sfavorevole che hanno, sulla salute, gli stati d’animo; si è appurato e dovuto ammettere che diversi disturbi organico-funzionali hanno una causa o determinante concausa mentale. È ormai anche un dato acquisito che l’ottimismo aiuta, in molti casi, a guarire.

I limiti della medicina positivistica di stampo ottocentesco sono evidenti in particolare se si considera il cosiddetto «effetto placebo». Su tale effetto si imperniano in larga misura, da alcuni decenni, i processi di valutazione dell’efficacia dei nuovi farmaci. Dopo esperimenti svolti su cavie animali, il nuovo farmaco è somministrato a una serie di pazienti consenzienti, mentre ad un’altra serie di pazienti viene propinata acqua fresca in pillole, priva di principio attivo. Posto che i pazienti delle due serie sono all’oscuro della diversità dei trattamenti, i fatti dimostrano che miglioramenti sono conseguiti dagli uni e dagli altri. Anche i fruitori di placebo, in qualche misura, migliorano e guariscono, per il solo fatto di credersi curati.

In sostanza, la dichiarazione ufficiale d’efficacia del farmaco testato dipende, non dal semplice riscontro di un qualsivoglia miglioramento, bensì dalla percentuale di miglioramento e guarigione: i pazienti trattati con innocuo placebo potranno migliorare o guarire in proporzione, diciamo, del 30 o 40% e il nuovo farmaco sarà promosso efficace se quelli che lo avranno effettivamente assunto vanteranno effetti benefici almeno al 60 o 70%.

Salta agli occhi l’importanza della constatazione che si possa guarire da molti mali indipendentemente da interventi farmacologici in una misura tutt’altro che trascurabile. Sembra esservi nell’uomo una capacità notevole di guarigione spontanea, dormiente, ma che può essere attivata suscitando la sola impressione della cura.

Tale segreta capacità imputabile alla psiche (o allo «spirito», che dir si voglia) è di primaria importanza, sanitariamente parlando. E andrebbe da sé che il mondo della medicina si preoccupasse di trarne tutto il frutto ricavabile, di indagarla, di comprenderla, di tenerne grandissimo conto. Invece, se ne giova, sì, ma passivamente e quasi a malincuore, scontrosamente. Ciò, per l’ovvia ragione che la rilevanza dell’effetto placebo scalza le stesse fondamenta materialistiche e organicistiche della medicina tradizionale; dimostra, cioè, che la medicina è male impostata in Occidente.

Andrebbe anche fatta, a questo punto, una rassegna degli effetti indesiderati della medicina occidentale, delle nocività, dei danni da essa provocati, che, allo stato, non sono né eccezionali, né pochi. Il primo e più fondamentale principio della disciplina medica occidentale sarebbe in teoria l’ippocratico: non nocére. Senonché ci sono le infermità da assunzione impropria di farmaci, prescritti dai medici e non. Mi si informa che la quota dei ricoveri in ospedale per patologie dovute a trattamenti farmacologici inadeguati ammonta a una percentuale a due cifre. Più in generale è risaputo che il ricorso ai farmaci è eccessivo in tutti i nostri paesi e straordinariamente esagerato negli Stati Uniti. Vanno poi aggiunte le infezioni, anch’esse tutt’altro che rare, addirittura contratte in casa di cura per contiguità con pazienti contagiosi, contatto con articoli infetti e passaggi in camere operatorie igienicamente non bonificate e garantite. Infine, si dà il caso di farmaci immessi nel mercato con tutti i crismi e che, dopo anni di prescrizione medica assidua, vengono riconosciuti nocivi e ritirati dalla farmacopea, talvolta, peraltro, solo in alcuni paesi, mentre rimangono disponibili in altri.

Il pubblico, male informato ma non stupido, intuisce i limiti della medicina ufficiale e sempre più ne diffida, come dimostra la strisciante controversia sui vaccini durante la recente pandemia da covid 19, non solo in Italia.

I governi, riguardo alle vaccinazioni obbligatorie, rispondono ai renitenti scettici facendosi scudo del prestigio della Scienza con l’iniziale maiuscola. Senonché la scienza autentica non ha l’iniziale maiuscola: è bassa ricerca e continua messa in discussione: suoi pungoli irrinunciabili sono proprio il dubbio e la contestazione. La scienza non è dogmatica, né apoditticamente normativa. La politica e la legge civile sono normative per loro natura ed è comprensibile che cerchino alibi, appellandosi all’autorità della scienza, la quale, tuttavia, è tutt’altro che un sicuro baluardo e porto d’ancoraggio; è, invece, una continua, rischiosa, avventura; un comporre con la realtà, sempre da rivedere e ricominciare

  • Già Funzionario del Parlamento europeo
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