Demenza? non una vera e propria malattia
Di Manfredi Lanza*
La medicina diagnostica la demenza in pazienti che abbiano flagranti vuoti di memoria fino a non ricordare più come si chiamino e chi siano e non riconoscere i propri cari, che perdano ogni senso di orientamento fino a non riuscire a tornare a casa, che facciano cose turche come riporre le pantofole o il telefonino in frigorifero, che non connettano e non riescano ad esprimersi correttamente, che non sappiano più addizionare, sottrarre, né moltiplicare, ac similia.
Si tratta non di una vera e propria malattia a sé stante, bensì di una sintomatologia o patologia complessa eziologicamente ascrivibile a più di una tra le malattie organiche che interessano la massa cerebrale (Alzheimer, Parkinson, corpi di Lewy, Pick, Huntington, prioni, degenerazione cortico-basale) o forse, talvolta, priva di specifica causa organica oltre ogni dubbio verificata.
Si parla anche di demenza reversibile e c’è da dire che i vari sintomi considerati, o quanto meno alcuni di essi, sono riscontrabili in forma più blanda anche in persone giudicate sane, soprattutto in anziani sani. La demenza è principalmente un complesso di disturbi cognitivi vissuto da persone della terza e quarta età (demenza senile), ma accade anche che interessi persone giovani.
È fenomeno generalmente constatato che, invecchiando, l’individuo tende a perdere in larga misura la memoria del passato recente, conservando invece quella del vissuto remoto. Anche momenti di confusione mentale, di disorientamento, di diminuita capacità di esprimersi, sono vissuti da molti anziani teoricamente sani.
Si direbbe, quindi, che la demenza riconosciuta come tale dalla medicina senza che essa la sappia ridurre a un qualcosa di eziologicamente preciso e circoscritto, consista solo in un aggravarsi di mancanze o perdite di competenza comuni tale da risultare pericoloso per il soggetto interessato e socialmente molesto.
Da notare che, per una volta, la medicina, per etichettare la sintomatologia in parola, non si è avvalsa di un ostico neologismo basato su etimi greci, ma di un vile vocabolo appartenente alla lingua corrente. Nella comune lingua del candido uomo qualunque, «demenza» significa imbecillità. Un «demente» è un cretino. Ed è curioso rilevare che la lingua francese, la quale, nel suo vocabolario, non ha conservato il latino «mens» ed è quindi priva del termine «mente» (sostituito con «spirito», un goffo «psychisme», semmai con «mentalità») può invece contare sul derivato «dément», d’uso corrente anche nel discorrere quotidiano nel significato, appunto, di imbecille patentato.
Etimologicamente parlando, la de-menza è una condizione di difetto della mente; una mancanza cognitiva, mancanza di responsabilità mentale, inquadrabile nei casi più gravi quale patologia, ma più in generale semplicemente evolutivo-strutturale. Un difetto (parziale) di presenza mentale e coscienza che sembra interessare di fatto gran parte dell’umanità nella vita corrente – ed è materia, in certa misura, più per la psicologia e la filosofia che per la medicina –, se, come purtroppo è dato constatare, questa è impegnata in una corsa cieca al benessere materiale, distrugge l’ambiente di cui è parte integrante, così rischiando financo l’estinzione della specie; se ha potuto abbracciare nel Novecento ideologie quali il nazismo, il fascismo e il comunismo; se da secoli pratica la sopraffazione, le guerre e il terrorismo; accanitamente pecca e, magari facendosi scudo di idealismi e fanatismi pseudo religiosi, disconosce Dio e la necessità di dare un senso costruttivo alla vita.
*Già funzionario del Parlamento europeo