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“Un responsabile impegno attivo nella vita comune”

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Dossetti e Israele

Dossetti e Israele

di: M. M. Bar-Asher-H. Liberanome, Settimana, Informazione internazionale

Pubblichiamo un interessante articolo – inedito in italiano – del quotidiano israeliano Haaretz del 1982 su Dossetti, corredato da un’introduzione del prof. Meir Bar-Asher sul contesto storico dell’articolo e alcune interessanti notazioni sulla sua scoperta della figura di Giuseppe Dossetti come monaco e come politico.

Dossetti a Gerico io a Gerusalemme

Meir M. Bar-Asher

Come attento lettore del quotidiano israeliano Haaretz, avrei dovuto notare questo articolo (“Il politico che si fece monaco”;  in ebraico: ha-politicai she-hafach le-nazir) su Giuseppe Dossetti, ora da me tradotto dall’ebraico in italiano, quando fu pubblicato il 19 novembre 1982. Purtroppo, allora mi sfuggì.

Fu una vera mancanza, in quanto avrei potuto cominciare a conoscere almeno qualcosa della vita e dei pensieri di questa grande personalità e non ho dubbio che avrei fatto uno sforzo per poterlo incontrare. Questo è un chiaro caso di quanto afferma l’autore di Qoèlet: “Ciò che è storto non si può raddrizzare e quel che manca non si può contare” (Qoèlet 1,15).

Ciò che è per me ancora più frustrante e deludente è la scoperta del fatto che, in quei giorni lontani, Dossetti viveva nel suo monastero a Gerico e io a Gerusalemme, a soli quaranta chilometri di distanza. Dossetti è esattamente il tipo di persona che mi avrebbe incuriosito e attratto.

Nella sua personalità e nella sua vita emergeva una chiara determinazione ad assumere un responsabile impegno attivo nella vita comunitaria. Lo manifestò, ad esempio, nella sua partecipazione, come combattente, alla resistenza antifascista in Italia. Fu un uomo di Stato, la cui incidenza nella vita politica italiana dopo la seconda guerra mondiale fu immensa e, allo stesso tempo, un religioso di grande spessore spirituale che, nonostante il ruolo e la posizione che aveva nella vita italiana del secondo dopoguerra, decise di rinunciare alla vita politica a favore della vita monastica.

Quando la guerra finì, Dossetti ebbe chiara visione dei grandi problemi della nuova epoca che si apriva in Europa e nel mondo e sentì che era giunto il momento di restituire il primato alla vita spirituale. Fondare la sua comunità, la Piccola Famiglia dell’Annunziata, e trasferirsi dopo alcuni anni con un gruppo di discepoli in Terra Santa, sulle due rive del Giordano, per condurvi vita monastica, gli fu allora più caro che diventare uno dei protagonisti dello Stato italiano del dopoguerra.

All’epoca in cui questo articolo è stato pubblicato dalla giornalista ebrea italiana Hulda Liberanome sulla base di un’intervista telefonica avuta con lui, io ero studente di islamologia, prima all’università ebraica di Gerusalemme e poi alla Sorbona a Parigi, ma, nello stesso tempo, ero profondamente interessato al fenomeno del monachesimo, dedicando molto tempo a letture relative a tale fenomeno, visitando molti monasteri in Terra Santa e altrove e facendo conoscenza diretta della vita monastica.

Il mio cammino cominciò con i padri domenicani del monastero di Saint Etienne a Gerusalemme.  Venuto a conoscenza della vita di Dossetti solo quarant’anni dopo, sono certo di quale grande dono sarebbe stato incontrarlo di persona in quei tempi lontani.

La prima volta che ho sentito parlare di Dossetti è stato nel 2019. È stato Fabrizio Mandreoli, grande esperto della vita e del pensiero di Dossetti, che ho avuto il piacere di incontrare a Napoli, a farmi conoscere la figura di Dossetti, il cui nome – devo confessare – non avevo mai sentito prima.

Fabrizio mi ha poi mandato una copia in arabo del suo libro su Dossetti intitolato Giuseppe Dossetti: uomo di resistenza e di politica e monaco (in arabo: Rajul muqawama wa-siyasa wa-nasik: al-ab Yusuf Dossetti) che, in italiano, è intitolato semplicemente Giuseppe Dossetti (Trento 2012). L’ho letto prima in arabo nella bella traduzione fatta da Michel Sabbah (Gerusalemme 2017), ex patriarca latino della Terra Santa, e dopo anche in italiano. Da allora ho letto molto su di lui.

Tanto di quanto ho imparato su Dossetti e sulla sua vita è stato scritto da Fabrizio Mandreoli o consigliato da lui. Tra gli interventi più affascinanti, che mi hanno dato un’idea profonda di Dossetti e del suo mondo interiore, c’è il discorso che tenne quando gli fu conferito, dal Comune di Bologna, il premio Archiginnasio.  Fabrizio e il suo collega Enrico Galavotti hanno recentemente ripubblicato ed egregiamente commentato tale discorso nel loro libro comune: Giuseppe Dossetti: L’eterno e la storia: il discorso dell’Archiginnasio (Bologna 2021).

Mi colpiscono profondamente l’ampiezza degli orizzonti di Dossetti, il profondo interesse che aveva per la spiritualità delle diverse tradizioni religiose, lo sforzo e la capacità di coglierne il nucleo profondo e di valorizzare quanto vi trovava di esperienze spirituali condivise. Così, in quel discorso, si muove con naturalezza e integro rispetto tra testi dei Padri della Chiesa occidentali e orientali, un detto talmudico, una parola di saggezza di un mistico musulmano o di un monaco buddista, non per esibire citazioni ma come qualcuno che sa riconoscere profonde esperienze spirituali comuni a diverse religioni.

Il testo del quotidiano Haaretz, sul quale padre Tommaso Bernacchia ha attirato la mia attenzione, testimonia la grande curiosità che suscitava la presenza di Dossetti quando viveva in Terra Santa. Nonostante la sua insistenza a vivere in completa solitudine e a evitare qualsiasi contatto con il mondo esterno, non poteva e non voleva tacere nelle occasioni in cui sentiva che il male compiuto dagli israeliani nei confronti dei loro vicini arabi non doveva passare in sordina.

Nell’articolo presentato su Haaretz, uscito nel novembre 1982, non si parla del massacro di Sabra e Chatila, i due campi profughi palestinesi di Beirut, compiuto tra il 16 e il 18 settembre 1982 ad opera dei falangisti maroniti sotto l’ombrello dell’esercito israeliano che allora occupava gran parte del Libano, compresa la capitale Beirut. Nonostante ciò, risulta chiaro che l’evento, accaduto due mesi prima, è messo sullo sfondo.

Dossetti aveva protestato con forza in una lettera intensamente critica che il 23 settembre (quindi pochi giorni dopo il massacro) aveva scritto a Menachem Begin, allora primo ministro del Governo d’Israele. (Alcuni brani della lettera sono citati da Fabrizio nel suo libro su Dossetti, pp. 110-113). È chiaro che il non comune intervento di Dossetti aveva attirato l’attenzione su di lui e sulla sua piccola comunità, ed è in questo contesto che, poco dopo, la giornalista Hulda Liberanome lo rincorse per intervistarlo. Non è possibile accertare se abbia saputo da lui qualcosa su questa lettera a Begin, comunque per lei fu l’occasione per far conoscere Dossetti agli israeliani.

Un’altra circostanza in cui Dossetti ha ritenuto di rompere il suo silenzio fu il barbarico evento del massacro compiuto da Baruch Goldstein, un colono israeliano residente in Kiryat Arba‘ (un insediamento israeliano vicino della città di Hebron), contro i musulmani che pregavano nella Grotta dei Patriarchi a Hebron, conosciuta dai musulmani come “il luogo sacro abramitico (al-haram al-ibrahimi)”. Ventinove fedeli musulmani furono assassinati da un uomo solo in questo attentato compiuto il 25 febbraio 1994. Si trattava del primo attacco antipalestinese dopo la firma degli Accordi di Oslo, e il più grande atto di terrorismo israeliano dalla fondazione dello Stato d’Israele nel 1948.

Una critica molto severa fu pronunciata anche in tale circostanza da Dossetti in un suo testo per la comunità dal titolo “Il sacrilegio sanguinoso di Hebron,” pubblicato poco dopo il massacro.

Ma la riflessione di Dossetti nei confronti del popolo di Israele e dello Stato di Israele è stata molto profonda e articolata e non si esaurisce certo in queste sue due lettere di protesta. Non è questa, certo, la sede in cui possa trattarne.

Qui l’intenzione principale è stata quella di far luce sul contesto in cui sorse a sorpresa, nella sede di Haaretz, l’interesse a rintracciare Dossetti e a rivelare al pubblico israeliano la sua storia e la singolare comunità monastica da lui fondata e determinata a vivere tra i figli d’Israele e i figli di Ismaele, per permettere ai suoi membri di conoscere da vicino la lingua e la cultura delle altre due religioni abramitiche. Non era possibile dubitare che Dossetti avesse scritto le sue parole di rimprovero in forza dell’amore che provava per entrambi i popoli.

  • Meir M. Bar-Asher è professore di Studi islamici all’Università ebraica di Gerusalemme dove è stato direttore del dipartimento di lingue e letteratura arabe. I suoi campi di interesse riguardano lo sciismo, incluse le correnti eterodosse che ne derivano, l’esegesi del Corano, la Filosofia islamica e le affinità tra l’ebraismo e l’islam.
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