di Vincenzo Tardino, giurista
da “L’Accademia dei semplici”, Bologna
“Nessun uomo,a qualunque titolo e per qualunque ragione ,ha il diritto di farci morire
anzitempo e come e quando gli pare. Trattasi di uno di quei diritti inviolabili dell’uomo,
riconosciuti da tutti i paesi civili del mondo e anche dall’Italia nel suo testo costituzionale
(art.2 Cost.), che nientemeno una certa Casellati (…ma chi è costei?) vorrebbe riformare
con il beneplacito di un governo che non ha mai digerito e metabolizzato il principio della
sovranità popolare che è alla base di una qualunque legittimazione giuridica e morale del
potere. E questo discorso vale soprattutto per i medici, che possono metterci le mani
addosso solo con il nostro consenso e per tenerci in vita fin quando e come è possibile;
senza che sia loro richiesto e consentito di esprimersi sulla continuazione o meno di una
terapia, che può avere anche effetti psicologicamente importanti, a prescindere dalla sua
concreta utilità. E tutto questo, i medici che sanno leggere e hanno studiato, dovrebbero
tenerlo in mente se è vero che nella loro cultura più elementare hanno sentito parlare di un
certo Ippocrate, che nel suo giuramento antico del V secolo a.C. ha così prescritto:
”…Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio,
astenendomi dal recar loro danno e offesa. Non somministrerò ad alcuno, neppure se
richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio. Similmente a nessuna donna
io darò un medicinale abortivo. Con innocenza e purezza io custodirò la mia vita e la mia
arte; e in qualsiasi casa io andrò, vi entrerò per il sollievo dei malati, astenendomi da ogni
offesa e danno volontario e da ogni azione corruttrice sul corpo delle donne e degli uomini,
liberi e schiavi…E a me, che adempio un tale giuramento e non lo calpesto, sia concesso di
godere della vita e dell’arte, onorato degli uomini tutti e per sempre. Mi accada il contrario
se lo vìolo e se spergiuro“. Anche nella stesura più aggiornata e moderna l’attuale
giuramento dei medici è volto alla difesa della vita e alla tutela della salute fisica e psichica,
nonché al trattamento del dolore e al sollievo dalla sofferenza nel rispetto della libertà e
dignità della persona …; e soprattutto non compiendo mai atti finalizzati a provocare la
morte… Mi sono dilungato a ricordare quel messaggio arcaico dei limiti di legittimazione
della funzione sanitaria per fare il punto sulla penosa questione che riguarda la piccola Indi
Gregory, cittadina britannica di otto mesi, affetta da una grave malattia e ricoverata al Queen
Medical Center di Nottingham e alla quale i medici vogliono staccare i supporti vitali. Perché
i giudici inglesi hanno sempre dato ragione ai pronunciamenti dei medici che hanno quasi
sempre optato per disinvolte decisioni di abbandoni terapeutici e di prognosi mortuarie nelle
loro valutazioni, raccomandando quasi sempre la cessazione di apparecchiature di
emergenza e disdegnando, nell’ interesse di quei pazienti terminali (…ma in verità forse per
sciocche preoccupazioni corporative) il loro trasferimento all’estero per eventuali e ulteriori
terapie. Vale la pena di ricordare che in un solo caso, nel quale hanno tralasciato la predetta
prassi…,hanno scritto una pagina nuova nella storia della giurisprudenza inglese: mi
riferisco al caso di Tafiada Requeens, una bambina di cinque anni musulmana ,per la quale
finirono col disporre la sospensione dello spegnimento dei macchinari ,autorizzando il
trasferimento al Gaslini di Genova: dove la bimba, una volta inserita in un particolare
programma di ricerca clinica, di terapia e di riabilitazione, era stata felicemente dimessa.
Ritornando al caso della bimba in questione, Indi Gregory, va detto che l’Alta Corte
britannica, si era già pronunciata ambiguamente e con maliziosa ma scorretta valutazione
giuridica: privilegiando la decisione “nel migliore interesse della bambina. ”Se ne discute
l’apprezzamento per un suo profilo giuridicamente subdolo e ragionevolmente aberrante:
essendo nell’ordine delle cose che una qualunque decisione che si esprima per la implicita
soppressione del paziente terminale non può mai dirsi nell’interesse di quest’ultimo, stante
il fatto che alla morte, che non lascia alcun rimedio, non possa mai residuare una qualunque
significazione utile al paziente. Nessuno, dico nessuno, anche per la predetta logica di taluni
diritti inviolabili e personalissimi, può sostituirsi al paziente interessato che non sia, per una
qualunque ragione, capace di esprimere il suo consenso. È’ solo un’invenzione di
grossolana pragmaticità, assolutamente fuori dalla logica più elementare e di buon senso
l’escogitazione di bizzarre presunzioni da parte di governanti che vogliono apparire a tutti i
costi stupidamente efficienti e che sono volte a legittimare un tacito consenso
dell’interessato nelle decisioni sostitutive di medici e parenti (…che non possono essere di
per sé, e per nessun altro motivo, omologabili come decisioni favorevoli per quelle persone
incapaci che, tacitamente e sicuramente avrebbero fatto le stesse scelte, quando-come
spesso succede-non siano sviate e moralmente snaturate da altri e meschini interessi d’altro
tipo motivazionale.)Purtroppo queste predette implicazioni motivazionali, che sono
tendenzialmente sviate, sono molto spesso confermate e ribadite dall’Alta Corte Europea
dei diritti dell’uomo ,come nella nota sentenza della Corte di Strasburgo (…la decisione del
20.4.2021 ,con n.18553) che aveva dichiarato inammissibile il ricorso della madre di una
minore in istato vegetativo persistente avverso la decisione di un giudice inglese che aveva
disposto, sempre conformemente alla consueta richiesta dei medici, assolutamente volta
all’interruzione dei trattamenti di sostegno vitale. La soluzione va, pertanto, presa solo dal
giudice competente Robert Roger Peel; augurandoci l’interpretazione giuridicamente forse
la più teoricamente confacente e appagabile: che, cioè, pur dichiarando in linea di principio
incontestabile la decisione di sospendere i macchinari di emergenza …, si disponga il
rilascio della bambina ai familiari, com’è nel loro diritto, o il consentire ancora l’inutile
permanenza nello stesso ospedale o in altro senza alcun’altra assistenza artificialmente soccorrevole. E’ una risposta di sicura corretta valutazione giuridica e di sicuro buon senso:
tanto più che l’Ospedale del Bambino Gesù di Roma si è reso disponibile ad accogliere e
curare la bambina, alla quale è stata già concessa la cittadinanza italiana per agevolare,
non già una pratica burocratica, ma la salvezza di una vita :che è,poi, nella giustificazione
morale di tutta questa laboriosa trattativa e nel primato strategico di una qualunque politica umanitaria.