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Da circa 10 anni i figli stanno crescendo meno intelligenti dei genitori?

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Da circa 10 anni i figli stanno crescendo meno intelligenti dei genitori. Mai successo prima.

di Christophe Clavé con commento di Paolo Ferraresi*

Il Quoziente d’Intelligenza (QI) medio della popolazione mondiale è in continuo aumento (effetto Flynn). Questo almeno dal secondo dopoguerra fino alla fine degli anni ’90. Da allora il QI è invece in diminuzione…È l’inversione dell’Effetto Flynn. La tesi è ancora discussa e molti studi sono in corso da anni senza riuscire a placare il dibattito. Sembra che il livello d’intelligenza misurato dai test diminuisca nei Paesi più sviluppati. Molte possono essere le cause di questo fenomeno. Una di queste potrebbe essere l’impoverimento del linguaggio. Diversi studi dimostrano infatti la diminuzione della conoscenza lessicale e l’impoverimento della lingua: non si tratta solo della riduzione del vocabolario utilizzato, ma anche delle sottigliezze linguistiche che permettono di elaborare e formulare un pensiero complesso. La graduale scomparsa dei tempi (congiuntivo, imperfetto, forme composte del futuro, participio passato) dà luogo a un pensiero quasi sempre al presente, limitato al momento: incapace di proiezioni nel tempo. La semplificazione dei tutorial, la scomparsa delle maiuscole e della punteggiatura sono esempi di “colpi mortali” alla precisione e alla varietà dell’espressione. Solo un esempio: eliminare la parola “signorina” (ormai desueta) non vuol dire solo rinunciare all’estetica di una parola, ma anche promuovere involontariamente l’idea che tra una bambina e una donna non ci siano fasi intermedie. Meno parole e meno verbi coniugati implicano meno capacità di esprimere le emozioni e meno possibilità di elaborare un pensiero. Gli studi hanno dimostrato come parte della violenza nella sfera pubblica e privata derivi direttamente dall’incapacità di descrivere le proprie emozioni attraverso le parole. Senza parole per costruire un ragionamento, il pensiero complesso è reso impossibile. Più povero è il linguaggio, più il pensiero scompare. La storia è ricca di esempi e molti libri (Georges Orwell – 1984; Ray Bradbury – Fahrenheit 451) hanno raccontato come tutti i regimi totalitari hanno sempre ostacolato il pensiero, attraverso una riduzione del numero e del senso delle parole. Se non esistono pensieri, non esistono pensieri critici. E non c’è pensiero senza parole. Come si può costruire un pensiero ipotetico-deduttivo senza il condizionale? Come si può prendere in considerazione il futuro senza una coniugazione al futuro? Come è possibile catturare una temporalità, una successione di elementi nel tempo, siano essi passati o futuri, e la loro durata relativa, senza una lingua che distingue tra ciò che avrebbe potuto essere, ciò che è stato, ciò che è, ciò che potrebbe essere, e ciò che sarà dopo che ciò che sarebbe potuto accadere, è realmente accaduto? Cari genitori e insegnanti: facciamo parlare, leggere e scrivere i nostri figli, i nostri studenti. Insegnare e praticare la lingua nelle sue forme più diverse. Anche se sembra complicata. Soprattutto se è complicata. Perché in questo sforzo c’è la libertà. Coloro che affermano la necessità di semplificare l’ortografia, scontare la lingua dei suoi “difetti”, abolire i generi, i tempi, le sfumature, tutto ciò che crea complessità, sono i veri artefici dell’impoverimento della mente umana. Non c’è libertà senza necessità. Non c’è bellezza senza il pensiero della bellezza.

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P.S.

Purtroppo è rigorosamente vero. Ma il processo è iniziato anche prima. Oltre a quanto tutto sopra esposto vi è anche la mancanza della scrittura manuale, sostituita da quella a tastiera, che ha alterato e atrofizzato aree cerebrali, per notevole diminuzione della capacità di astrazione.

Poi non dobbiamo dimenticare l’abuso dell’alcol delle giovani generazioni, che massacra il cervello e diminuisce strutturalmente la memoria e capacità di concentrazione.

–  “L’uomo e la donna non sono in grado di metabolizzare l’alcol fino all’età di 18 anni, quindi tutto l’alcol che circola in quel periodo, soprattutto tra i 12 ei 24 anni, quando il cervello è in maturazione, fa ancora più danno sia diretto che indiretto”. Emanuele Scafato, Direttore Osservatorio Nazionale Alcol dell’I.S.S, spiega che in questa fascia di età l’alcol è una sorta di “killer dei neuroni”, che può portare alla riduzione della memoria nei ragazzi che abbiano abitudini come quella del binge drinking. È stato verificato, attraverso le risonanze magnetiche, che nei ragazzi e nelle ragazze che fanno binge drinking per almeno due mesi le aree della memoria si spengono: una persona può perdere il 10-20% della propria capacità cognitiva, in termini di memoria, ma anche e soprattutto di orientamento visuo-spaziale. E si tratta di un deficit cognitivo che ci si ritrova poi in età adulta. 

Senza contare che, se il consumo di alcol avviene durante la gravidanza possono verificarsi gravi conseguenze sul feto. Si parla in questo caso di sindrome feto-alcolica, poiché l’alcol assunto dalla madre può interferire con lo sviluppo fisico e intellettivo del feto, causando malformazioni e ritardo mentale a seconda della quantità assunta. La sindrome feto alcolica è la più grave disabilità permanente che si manifesta nel feto, esposto durante la vita intrauterina all’alcol consumato dalla madre durante la gravidanza.

Poi vi è il fumo, e non quello delle sigarette che danneggia i polmoni, ma quello dell’hascisc e della marijuana, che se fumati da giovanissimi ed in buona quantità danneggia fortemente la corteccia prefrontale (oltre che i polmoni). Esiste un mainstream sempre più forte che tende ad attribuire alla cannabis proprietà terapeutiche notevoli e comunque una sostanziale innocuità d’uso. Ad una certa età, negli anziani con demenze, sembra che la marijuana abbia qualche effetto calmante. Ma il vero problema sono gli adolescenti, che iniziano a farne uso fino dai 14 anni. E non è mai uno spinello saltuario, ma col passare del tempo il consumo della sostanza si fa sempre più abituale. La pericolosità del fumare cannabis sta nel fatto che i danni cerebrali non si notano subito. Ci si è resi conto, ormai con sicurezza, che saltano fuori dopo anni, quando gli abituali consumatori diventano adulti.

La cannabis altera il normale sviluppo della corteccia prefrontale, che raggiunge la sua maturità intorno ai 24-25 anni. I neuroni specializzati ad elaborare il piacere sono localizzati in due sedi anatomiche distinte: nel nucleo accumbens situato nella parte profonda del cervello e nella corteccia prefrontale, in cui ha sede la capacità critica. Ed è proprio l’alterazione profonda dell’area del piacere che provocherà, più avanti, psicosi nei maschi e depressioni forti nelle femmine.

Ovviamente si tratta di realizzare se è la cannabis che procura direttamente il massacro cerebrale oppure se porta alla luce già tendenze psicotiche che in quell’individuo, in condizioni di tranquillità sociale o familiare non avrebbe mai manifestato, o manifestato con semplici disturbi più controllati.

Sta di fatto che il rapporto diretto tra psicosi, depressioni e cannabis esiste e va denunciato, e non mi si venga a dire che non è vero, perché esiste in merito un’ampia letteratura medico – scientifica.

*Paolo Ferraresi, CCMSS AUSL di Bologna

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