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Sale la povertà assoluta delle famiglie: circa 2,1 milioni, 1/10 in povertà assoluta nel 2023. Nel 2022 quasi due milioni di persone non avevano i soldi per curarsi

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Sanità, nel 2022 quasi due milioni di persone non avevano i soldi per curarsi – l’allarme di Gimbe

Nel 2022 4,2 milioni di famiglie, soprattutto al Sud, si sono viste costrette a limitare le spese per la salute e 1,9 milioni di persone hanno dovuto rinunciare alle cure mediche per indisponibilità economica. La Fondazione Gimbe lancia l’allarme: “Lo status di povertà assoluta che coinvolge oggi più di due milioni di famiglie richiede urgenti politiche di contrasto”.

A cura di Giulia Casula

Costi eccessivi, lunghi tempi di attesa, difficoltà di accesso: sono alcuni dei motivi che hanno costretto oltre 4,1 milioni di persone a limitare le spese per esami o visite specialistiche. È quanto riporta l’analisi della Fondazione Gimbe sulla spesa sanitaria delle famiglie nel 2022 sulla base dei dati pubblicati da Istat. Spesa sanitaria in aumento: +64 euro nel 2022

Nel 2022 la media nazionale delle spese per la salute per una famiglia è aumentata di 64 euro rispetto all’anno precedente. Una cifra che sale a 100 euro nelle aree del Centro e del Sud Italia. Questi aumenti hanno delle ricadute sulla tenuta del Servizio sanitario nazionale, ma anche sulla salute delle persone. Secondo l’indagine Istat sul cambiamento delle abitudini di spesa infatti, nel 2022 oltre 4,2 milioni di famiglie hanno limitato la spesa per visite mediche e accertamenti, mentre 1,9 milioni ha dovuto rinunciare alle cure mediche per indisponibilità economica.

Come spiega Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, dietro la rinuncia alle prestazioni sanitarie di moltissime famiglie ci sono “uno o più motivi: problemi economici (impossibilità di pagare, costo eccessivo), difficoltà di accesso (struttura lontana, mancanza di trasporti, orari scomodi), lunghi tempi di attesa”. Si tratta di un problema diffuso che attraversa tutto il paese, senza sostanziali differenze tra Nord e Sud Italia. Sale la povertà assoluta delle famiglie, quasi 2,1 milioni

Il progressivo indebolimento del Servizio sanitario nazionale e i dati sulle spese per la salute risultano inevitabilmente condizionati dai numeri sulla crescita della povertà assoluta delle famiglie. L’Istat riporta un aumento, dal 7,7 al 8,3% delle famiglie che si trovano sotto la soglia di povertà.  E questi numeri – circa 2,1 milioni di famiglie – sono destinati ad aumentare secondo le stime preliminari per il 2023.

“Lo status di povertà assoluta che coinvolge oggi più di due milioni di famiglie richiede urgenti politiche di contrasto alla povertà, non solo per garantire un tenore di vita dignitoso a tutte le persone – spiega Cartabellotta -, ma anche perché le diseguaglianze sociali nell’accesso alle cure e l’impossibilità di far fronte ai bisogni di salute con risorse proprie rischiano di compromettere la salute e la vita dei più poveri, in particolare nel Mezzogiorno”.

In Italia quasi una persona su dieci viveva in povertà assoluta nel 2023

Il 9,8% delle persone che vivono in Italia era in povertà assoluta nel 2023. È il nuovo dato pubblicato dall’Istat, che segnala un leggero aumento rispetto al 2022. L’incremento riguarda anche le famiglie dei lavoratori, specialmente i dipendenti.

A cura di Luca Pons

Nel 2023 c’erano 2,23 milioni di famiglie in Italia che vivevano in condizione di povertà assoluta, pari a 5 milioni e 752mila persone. Lo riporta l’Istat nel suo aggiornamento (con dati ancora preliminari) sulla povertà in Italia. Nel 2022, gli individui in povertà assoluta erano 5,67 milioni, circa 80mila persone in meno. La situazione è peggiorata anche per chi lavora, soprattutto se è dipendente.

Guardando alle percentuali, l’Istat afferma che il dato è sostanzialmente “invariato” rispetto all’anno precedente. Si parla dell’8,5% delle famiglie (era l’8,3%) e del 9,8% delle persone (era i 9,7%). C’è stato un aumento soprattutto nel Nord Italia, dove le persone povere sono quasi 136mila in più rispetto al 2022. Nelle Regioni nel Sud, invece, il numero assoluto rimane più alto che nel resto d’Italia, ma la percentuale è scesa leggermente.

La percentuale di povertà è molto più alta tra le famiglie composte solo da stranieri (35,6%) rispetto a quelle di soli italiani (6,4%). Un peggioramento riguarda le persone in cui il capofamiglia (che sia uomo o donna) lavora: l’8,2% sono in povertà assoluta (era il 7,7%), e in particolare se la persona in questione lavora come dipendente questa percentuale arriva al 9,1%, mentre un anno prima era dell’8,3%. Insomma, più famiglie di lavoratori si trovavano in povertà nel 2023 rispetto al 2022.

Negli ultimi dieci anni, l’unico periodo in cui la percentuale di povertà è scesa in modo significativo è stato il 2019, con l’introduzione del Reddito di cittadinanza. L’anno dopo poi è arrivata la pandemia, che ha riportato il dato su livelli alti. Nel 2022 c’è stato un altro aumento, a causa della fortissima inflazione che ha colpito soprattutto le famiglie meno abbienti, e il 2023 ha confermato quel livello nonostante l’aumento dei prezzi abbia rallentato.

L’Istat poi segnala che l’anno scorso le famiglie hanno speso di più – in media 2.728 euro al mese – ma non è bastato per restare al passo con l’inflazione. I prezzi, infatti, sono saliti più di quanto sia aumentato l’esborso delle famiglie. Così, in termini reali (cioè tenendo conto dei prezzi) la spesa è scesa dell’1,8%. Non è cambiata la disuguaglianza nella spesa tra le famiglie più povere e quelle più ricche.

Le famiglie dunque hanno speso più soldi, ma sono riuscite ad acquistare meno cose. Questo vale soprattutto per alimentari e bevande analcoliche. L’istituto di statistica, infatti, sottolinea che il prezzo di questi prodotti è cresciuto del 10,2% in un anno: una corsa che ha obbligato le famiglie in Italia a sborsare di più per avere meno. Infatti, è cresciuto il valore della spesa, ma è calato il volume degli acquisti. Una conferma, ha scritto l’Istat, che ” le famiglie continuano a modificare le proprie strategie di acquisto per far fronte all’aumento dei prezzi”.

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