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Barriere architettoniche: ostacoli alla mobilità di persone con capacità motoria ridotta o impedita

  • di

di Giuseppe Vinci, presidente della “Accademia dei Semplici, Sic et simpliciter”, Bologna

PREMESSA. Per barriere architettoniche si indicano gli ambienti inaccessibili, naturali o
costruiti, che creano o rappresentano ostacoli e non permettono la completa mobilità di
coloro che hanno una capacità motoria ridotta o impedita, sia essa temporanea o di tipo permanente.

Le norme legislative che prevedono i termini e le modalità per garantire l’accessibilità ai vari
ambienti, con particolare attenzione ai luoghi pubblici, sono dettate dalla legge 9 gennaio
1989, n. 13, e successive modificazioni, recante “Disposizioni per favorire il superamento e
l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati”.
Invero, le disposizioni attuative della legge n. 13 del 1989 sono state emanate dal Decreto
Ministeriale n. 236 del 14 giugno 1989, recante “Prescrizioni tecniche necessarie a garantire
l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia pubblica
sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell’eliminazione delle barriere
architettoniche”, stabilendo cosa si intende per barriere architettoniche e il relativo campo
di applicazione.

In pratica, il Decreto Ministeriale stabilisce testualmente che per barriere architettoniche si
intendono: “gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque ed
in particolare di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta
o impedita in forma permanente o temporanea; gli ostacoli che limitano o
impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di parti, attrezzature o
componenti; la mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettono
l’orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque e
in particolare per i non vedenti, per gli ipovedenti e per i sordi”.
Per quanto riguarda, invece, il campo di applicazione, le norme attuative si applicano: “agli
edifici privati di nuova costruzione, residenziali e non, ivi compresi quelli di edilizia
residenziale convenzionata; agli edifici di edilizia residenziale pubblica
sovvenzionata ed agevolata, di nuova costruzione; alla ristrutturazione degli edifici
privati di cui ai punti precedenti, anche se preesistenti alla entrata in vigore del
presente decreto; agli spazi esterni di pertinenza degli edifici di cui ai punti
precedenti”.

Inoltre, sempre lo stesso Decreto Ministeriale individua tre diversi livelli di qualità dello
spazio costruito: l’accessibilità, la visitabilità, la adattabilità.
L’Accessibilità è la possibilità per le persone con ridotta capacità motoria o sensoriale di
raggiungere le singole unità immobiliari o ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruire di
spazi e attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e autonomia.
La visitabilità è la possibilità per persone con ridotta o impedita capacità motoria o
sensoriale di accedere agli spazi di relazione e ad almeno un servizio igienico di ogni unità
immobiliare. Vengono considerati spazi di relazione gli spazi di soggiorno dell’alloggio e
quelli dei luoghi di lavoro, servizio e incontro, nei quali il cittadino entra in rapporto con la
funzione ivi svolta.
La Adattabilità è la possibilità di modificare nel tempo lo spazio costruito a costi limitati, allo
scopo di renderlo completamente e agevolmente fruibile anche da parte di persone con
ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale.
Per quanto riguarda i Piani per l’Eliminazione delle Barriere Architettoniche (P.E.B.A.),
disciplinati dalla legge n. 41 del 28 febbraio 1986 e dalla legge n. 104 del 5 febbraio 1992,
afferente la “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone
handicappate”, l’obiettivo generale è l’innalzamento della rete di servizi, forniti dalla città,
capaci di garantire una città solidale e accessibile.

Infine, si rende noto che il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 8370/2022 ha accolto
l’appello di un ristoratore costretto a chiudere l’attività, su disposizione dell’Amministrazione
comunale, per il mancato rispetto della normativa in materia di eliminazione delle barriere
architettoniche. In pratica, l’Amministrazione comunale riteneva che: “l’unità commerciale è
conforme in materia di abbattimento delle barriere architettoniche, ma risulta inaccessibile
dall’ingresso al piano terra”. Secondo il ristoratore, invece, “il locale era stato adeguato alla
normativa di abbattimento delle barriere architettoniche, ma sulle parti comuni dell’edificio,
costruito in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.M. n. 236 del 1989, non erano mai
stati effettuati interventi edilizi di ristrutturazione”. Pertanto, nel merito della decisione, il
Consiglio di Stato non ha condiviso la tesi dell’Amministrazione comunale, secondo cui il
Decreto si applicherebbe anche laddove il locale commerciale si trovi in edificio risalente a
epoca anteriore all’entrata in vigore del citato decreto.

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