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Lavoro precario e mal retribuito non sufficiente a uscire da condizioni di povertà

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Ormai è noto che sempre più lavoro è precario e mal retribuito, e non è sufficiente a uscire da una condizione di povertà. In questo quadro anche il part-time da strumento di conciliazione di vita e di lavoro, rischia di diventare uno strumento di ulteriore precarizzazione, soprattutto quando viene imposto e non è una scelta del lavoratore e in particolare della lavoratrice. Uno dei segni più evidenti di come abbiamo affrontato la sfida della globalizzazione mortificando il lavoro, in particolare quello delle donne.

Pubblicato il Report del Forum Disuguaglianze e Diversità “Da conciliazione a costrizione: il part-time in Italia non è una scelta. Proposte per l’equità di genere e la qualità del lavoro”, una fotografia a 360 gradi del fenomeno del part-time involontario. Emerge che sotto ogni profilo, socio-demografico, territoriale, di tipologia contrattuale o di settore le donne sono maggiormente colpite degli uomini dal fenomeno del part-time involontario. In generale questo aumenta anche nel Mezzogiorno, tra le persone straniere, tra chi possiede un basso titolo di studio e tra le persone con un impiego a tempo determinato. Dati confermati dall’analisi delle unità locali italiane: in otto imprese su dieci l’incidenza delle donne in part-time sul totale dei dipendenti è oltre il 50%. Dal Report si evince che il 12% delle imprese usa il part-time in modo strutturale (oltre il 70% dei dipendenti) e che queste imprese sono meno attente alla qualità del lavoro. Le politiche per cambiare rotta devono insistere sul rafforzamento della contrattazione, sui disincentivi alle forme involontarie di part-time e sull’aumento dei controlli.
In Italia, più della metà dei 4 milioni e 203 mila lavoratori e lavoratrici part-time rilevati dall’Istat nel 2022, il 56,2%, non ha scelto questa forma contrattuale ma l’ha accettata o subita per necessità o per assenza di altre possibilità, ovvero è in una condizione di part-time involontario. Un andamento strutturale e non congiunturale che il documento “Da conciliazione a costrizione: il part-time in Italia non è una scelta. Proposte per l’equità di genere e la qualità del lavoro”, presentato oggi presso la Sala Zuccari del Senato, fa emergere scattando una fotografia a 360 gradi del fenomeno, avanzando proposte di policy per migliorare la qualità del lavoro e includendo le interviste anonime a cinque lavoratrici. L’analisi dei dati della “Rilevazione sulle forze di lavoro” dell’Istat del 2022, con una lettura di genere, mostra che tra le donne, che rappresentano circa i tre quarti delle persone occupate a tempo parziale è più diffuso anche il ricorso al part-time involontario: pesa infatti per il 16,5% sul totale delle donne occupate contro il 5,6% degli uomini occupati. Dalle elaborazioni emerge che sotto ogni profilo, socio-demografico, territoriale, di tipologia contrattuale o di settore le donne sono più colpite degli uomini dal fenomeno del part-time involontario. Tra le persone impiegate in professioni non qualificate si registra il differenziale maggiore: 38,3% per le donne contro il 14,2% gli uomini. Il part-time involontario, inoltre, è più frequente tra le giovani donne: si parla del 21% delle occupate di 15-34 anni rispetto al 14% di quelle di 55 anni e oltre. Oltre alla caratterizzazione di genere, i dati mostrano che il part-time involontario è più frequente anche nel Mezzogiorno, tra le persone straniere, tra chi possiede un basso titolo di studio e tra le persone con un impiego a tempo determinato: 23% contro il 9% del tempo indeterminato, e il 7% degli e delle indipendenti. Il paradosso italiano nell’abuso del part-time involontario è confermato anche dai dati Eurostat: a fronte di una crescita simile nel ricorso al tempo parziale a livello europeo negli ultimi 20 anni, che nel 2022 ha visto l’Italia in posizione analoga alla media europea (18,2% la prima, 18,5% la seconda), nel nostro paese il part-time involontario riguarda più di un lavoratore su due tra quelli impiegati con questa forma contrattuale (56,2%) mentre la media europea si ferma a meno di un quarto (19,7%). Ancora, l’analisi dei dati Inps sull’andamento dei contratti attivati nel primo semestre 2022, mostra una crescita del lavoro femminile all’insegna della precarietà e della debolezza contrattuale data dalla compresenza di due fattori di criticità associati: la forma precaria contrattuale e il tempo parziale, quale forma di orario ridotto. Nel primo semestre del 2022 risultano attivati 4.269.179 contratti, di cui solo il 41,5% a donne. La quota di contratti stabili incide per il 20% su quelli maschili e solo per il 15% di quelli femminili. Su tutti i contratti attivati nel I semestre 2022 il 35,6% è a part-time, con consolidate differenze di genere: sul totale dei contratti attivati a donne quasi la metà (il 49%) è a tempo parziale contro il 26,2% dei contratti attivati agli uomini. Inoltre, se si guarda al tempo indeterminato, che rappresenta solo il 15% dei contratti attivati a donne, oltre la metà di questa quota (il 51,3%) è a tempo parziale.
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