Lo spirito può tirarci fuori dalla condizione in cui ci ha messo?
Paul Valéry (1935), da Lab Politica e Cultura di Francoise Graziani
Mentre gli Stati europei rinnegano il diritto del mare e il diritto d’asilo, principi fondatori di ogni civiltà, degli individui privi di potere rifiutano il contagio dell’indifferenza, immaginando azioni simboliche. Dei fotografi si imbarcano sulle navi di salvataggio delle ONG per dare un volto ai naufraghi anonimi che sono migliaia; sulle coste del Nord Africa artisti cercano di sensibilizzare i loro vicini sulla sorte dei migranti che muoiono nel Mediterraneo, organizzando spettacoli commemorativi; sull’isola di Lesbo, maestri di musica classica entrato nei campi dove sono trattenuti i rifugiati, per insegnare ai bambini a suonare strumenti per loro sconosciuti. Ma l’idea di costruire violini con il legno delle barche naufragate, recuperate a Lampedusa, va ancora oltre, perché rovescia i ruoli: è a noi che questi strumenti fanno capire una musica che ci è familiare ma di cui non comprendiamo più la funzione armonica.
Nel 2022 la stampa italiana ha accolto con favore l’iniziativa di un erede della casa editrice Mondadori che aveva appena fatto realizzare il primo “violino del mare”, utilizzando il legno di una barca di migranti lasciato allo stato grezzo. All’inizio fu solo un atto simbolico tra gli altri, perché nessuno credeva che questo violino potesse suonare. Poi il violinista che lo suonò per la prima volta si meravigliò che suonasse la stessa armonia di qualsiasi altro strumento di legno più nobile. Si parlava di miracolo, ma questo tipo di miracolo non avviene senza l’intercessione di una mente capace di risolvere problemi tecnici grazie alle risorse dell’immaginazione e della memoria. Artefice di questo miracolo fu il liutaio Enrico Allorto, che si ispirò ad una tecnica dei liutai rinascimentali, che costruivano la tavola armonica delle viole da gamba tagliando sottili listelli di legno per poterli piegare, poi assemblandoli allo stesso modo in cui si fanno le botti.
Il problema che Enrico Allorto dovette risolvere era la particolarità del materiale riciclato da cui dovevano essere preservate tracce di vernice, sale e usura, a testimonianza della sofferenza di chi viaggiava su queste imbarcazioni. Non era quindi possibile lavorare questo legno come una materia inerte, ma era necessario trovare il modo di trasformare questo materiale in “memoria viva”, senza cancellare nulla della sua storia, e preservare sia le tracce dei colori sbiaditi che la ruvidezza del legno, con gli odori che in esso erano racchiusi. Non si trattava di fare qualcosa di nuovo da qualcosa di vecchio, ma di riportare in vita la materia morta, per rendere sensibile l’esperienza dei vivi che viaggiavano su queste barche e che ne venivano anche distrutti. La potenza del simbolo sta proprio nel fatto che trasforma la materia senza modificarla, che è proprio il significato che i poeti antichi davano alla parola Metamorfosi, scelta dallo studioso Arnaldo Mosca Mondadori per definire il suo progetto, che mira a trasformare le menti e che, per loro stessa ammissione, ha già trasformato gli artigiani che hanno realizzato questi strumenti e i musicisti che li suonano.
Tra le centinaia di relitti spiaggiati sulle spiagge di Lampedusa, dieci imbarcazioni sono state trasportate nel 2021 nel cortile del carcere di massima sicurezza di Milano dal Ministero dell’Interno italiano. È in questo carcere che è stato realizzato il primo violino, da detenuti condannati alle pene più pesanti, nel laboratorio di liuteria e falegnameria dove da più di dieci anni è avviato un programma di reinserimento sociale attraverso l’apprendistato e i mestieri manuali. Per realizzare i quindici diversi strumenti che compongono un’orchestra d’archi completa, si sono associati nel 2023 altri tre istituti penitenziari (Monza, Rebibbia e Secondigliano) i cui detenuti hanno potuto assistere online, il 12 febbraio 2024, al primo concerto dell’Orchestra del mare trasmesso in diretta dalla Scala di Milano.
L’idea forte di Arnaldo Mosca Mondadori e dei musicisti che lo affiancarono fu proprio quella di non accontentarsi delle performance musicali di un violino eccezionale, ma di comporre con gli stessi materiali e utilizzando la stessa tecnica una vera orchestra, per rappresentare simbolicamente la funzione sinfonica di ogni società. Perché una società non è fatta della semplice assemblea di più individui, ma della coesione strutturale dei vari elementi che la compongono, e che devono essere costantemente ripensati affinché si mantenga l’armonia sociale. L’orchestra del mare non si limita a lanciare un appello alla solidarietà e alla compassione, ma realizza concretamente un tentativo di rifondare l’essere umano riattivando i principi antropologici che legano l’arte alle origini di ogni società. Rappresenta una metafora in azione, operando una decontestualizzazione dei materiali per dare forma e significato a ciò che non ne aveva più, e concretizza così un “progetto” tanto ovvio quanto dimenticato: quello del divenire umano.
Trasformare il legno di una barca naufragata in un violino significa esercitare adeguatamente il potere di trasformazione della mente, facoltà disponibile ad ogni individuo pensante e che lo rende virtualmente capace di trasformare il male in bene. Ma farne un’orchestra del mare significa ridare senso alla parola stessa ‘società’. Ciò che il mare e gli uomini hanno distrutto, lo spirito umano è capace non di riportarlo in vita ma di trasformarlo riciclandolo. Ma mentre il moderno riciclaggio dei rifiuti non ha altro scopo che quello di ravvivare il consumo di beni materiali, la trasformazione di detriti del naufragio in strumenti musicali dà un nuovo significato a ciò che ci rende umani, ricordandoci che anche lo spirito è molteplice e che lo spirituale, il materiale, il tecnico e il politico non devono essere messi in competizione ma in sinergia.
L’arte non è solo un atto estetico: è un’etica perché inventa costantemente nuovi collegamenti. La musica un tempo aveva la funzione di costringere gli esseri umani ad accettare non solo di convivere, ma di vivere in armonia con la natura, come testimonia nel Mediterraneo antico il mito di Orfeo. Nelle lingue morte del Mediterraneo, le parole ars e harmonia significavano la stessa cosa, perché in greco e latino la loro radice comune significa una potenza di connessione, una forza che articola la materia vivente per formare ogni sorta di insiemi organici, e che collega anche i vivi e i morti collegando il presente, il passato e il futuro. Fare e dire, parlare e cantare sono stati per molto tempo la stessa arte, perché la musica non ha la sola funzione di animare i corpi, ma connette le menti rendendo le persone capaci di far comunicare segni. Ma le parole hanno cambiato significato e abbiamo snaturato il principio di comunicazione che è l’origine comune del linguaggio e della società. Ogni comunicazione è un movimento, e ciò che le lingue morte chiamano metafora è allo stesso tempo un trasporto di significato e una metamorfosi. Trasformando i detriti delle barche dei migranti in strumenti musicali per farli “parlare”, gli artigiani che hanno lavorato nella loro prigione a questa metamorfosi dicono di aver “fatto un viaggio insieme a queste barche” e di essere stati cambiati da loro.
Sul sito online che presenta il primo “violino del mare”, il liutaio Enrico Allorto ha riprodotto questa iscrizione latina incisa su un violino del XVI secolo, con relativa traduzione in italiano, inglese e infine francese:
Viva fui in silvis, Sum dura occisa securi.
Dum vixi tacui, Mortua dulce cano.
Ero viva nella foresta, Mi ha uccisa la crudele scure.
Da viva ero silenziosa. Morta dolcemente canto.
I was alive in the wood, Cut by the cruel axe.
In life I was silent, In death I sweetly sing.
« Bois vivant j’étais en forêt, un coup de hache m’a tué.
Si j’ai vécu en silence, mort à présent je chante ».
Gli antichi inni omerici raccontano che un piccolo dio ingegnoso inventò la prima viola, la cetra greca, sventrando una tartaruga morta per trasformarne il guscio in uno strumento musicale, aggiungendo vari elementi presi anche da altri animali morti, che trasformò così in “simboli”. Nell’antica lingua greca, il symbolon era un segno di riconoscimento tra amici separati: ciascuno ne portava un pezzo a casa e lo trasmetteva ai propri cari, affinché durante il viaggio potessero trovare ospitalità tra coloro presso cui potessero ricostituire le sue parti. disgiunte.
Contrariamente a quanto ne hanno fatto le nostre società moderne, la musica non è un intrattenimento che avrebbe la funzione di distrarci temporaneamente dai conflitti e dai tormenti a cui l’esistenzialismo condanna gli esseri umani, è un atto poetico che ha il potere di agire sulle menti per farci vivere e pensare diversamente. Arnaldo Mosca Mondadori, che conosce la sua umanità, ne è perfettamente consapevole e se cerca di comunicare questa consapevolezza attraverso la musica, è perché è convinto che possiamo cambiare gli altri facendo loro sperimentare attraverso l’immaginazione e attraverso i sensi il potere trasformativo. dello spirito umano. Non importa che la sua Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti, il cui nome non connota esclusivamente lo spirito di Dio, sia sostenuta dal Vaticano e dalla politica, perché la vocazione veramente interculturale della sua azione, di cui a buon diritto rivendica l’universalità, unisce le fondamenta di ogni religione e di tutta la società. E la sua azione non è solo simbolica, perché opera per l’integrazione sociale di tutti gli emarginati, siano essi richiedenti asilo o condannati dai tribunali. Ma i conflitti di partito non devono oscurare il valore veramente umanista di questo simbolo, vale a dire il riconoscimento di ciò che ci rende umani. Se è vero che “la musica tocca tutti” e che l’umanesimo cristiano trova i suoi fondamenti nello stesso principio di convivenza sociale, è proprio l’arte ad operare qui simbolicamente, nel senso letterale del termine.
Il miracolo compiuto in questo caso dalla fiducia di un individuo nel potere di conversione dell’arte è dello stesso ordine di quello compiuto in Venezuela dal direttore d’orchestra José Abreu, quando immaginò il programma di formazione musicale El Sistema nel 1975, il cui effetto dura ancora. Questo economista e politico di sinistra è riuscito a imporre ovunque l’idea che la musica non è “monopolio di un’élite”, ma deve “trasformarsi in patrimonio del popolo”, per diventare “uno strumento di integrazione sociale” . In uno dei Paesi più poveri e diseguali del mondo, la musica ha conservato il potere arcaico di realizzare sogni utopici, lottando contro le esclusioni per restaurare politicamente il tessuto vivo di una comunità che può dirsi propriamente “sociale” solo se non tende all’omologazione. Per essere giusta, l’armonia sociale deve necessariamente tenere conto delle differenze, perché una società è fatta solo di disaccordi e dissonanze che devono essere trasformate affinché la comunità che la costituisce sia vitale. Come l’armonia musicale, l’armonia sociale costituisce un “sistema” incerto, la cui coesione dipende solo da ciò che lega tra loro elementi che forse non erano fatti per accordarsi, ma che insieme possono produrre effetti armonici inattesi.