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«Donne e omosessuali? La Chiesa faccia le riforme. È questione di giustizia»

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Il teologo Mancuso: «Donne e omosessuali? La Chiesa faccia le riforme.
È questione di giustizia»
intervista a Vito Mancuso a cura di Giovanni Panettiere, Quotidiano nazionale
in “QN” del 23 giugno 2023
Il primo a mettere le mani avanti é lo stesso segretario generale del Sinodo dei vescovi, il cardinale
Mario Grech. «Non è detto che ad ottobre 2023 e 2024 dovremmo trovare tutte le risposte ste. però
prendiamo atto che ci sono delle domande. E non è poco, considerando che per la prima volta tutte le
questioni più delicate nella Chiesa – dall’ordinazione presbiterale di uomini sposati, al diaconato
femminile, passando per la piena accoglienza di gay e divorziati – finiscono nero su bianco nel
documento di lavoro di un Sinodo, l’appuntamento più immediato per un confronto ecclesiale ad ogni
livello. Per l’esattezza rientrano nell’Instrumentum laboris dell’assise indetta da papa Francesco in due
sessioni – dal 4 al 29 ottobre e dodici mesi più tardi – dedicata alla sinodalità, la via del camminare
insieme. «Gay, diaconato femminile e clero uxorato sono il minimo sindacale perla Chiesa di oggi –
non ha dubbi il teologo Vito Mancuso, scuola martiniana e autore del bestseller L’anima e il suo
destino -. Sono riforme da approvare m tempi rapidi per una questione di giustizia davanti a Dio e di
dignità degli uomini e delle donne qualsiasi sia la loro condizione».
Senza questi cambiamenti la Chiesa è destinata a scomparire?
«Siamo onesti, tali modifiche non porterebbero più fedeli a messa. Nel mondo protestante, dove
tutto ciò è realtà, la situazione è anche peggiore del contesto cattolico quanto a partecipazione ai
sacramenti».
Ha ragione allora chi sostiene che i dossier più spinosi dovrebbero essere tenuti fuori dal Sinodo?
«Assolutamente no, sono temi da affrontare in maniera alta e consapevole. Partendo dal primo
aspetto, pur considerando i rischi di scisma davanti all’ipotesi del sacerdozio per le donne. va fatto
un passo avanti rispetto al diaconato femminile. Non bisogna avere paura di varare, giustificandolo
a livello teologico, l’accesso al cardinalato per en trambi i sessi: non si deve essere necessariamente
diaconi, preti o vescovi per ricevere la porpora».
E quando accenna alla consapevolezza a cosa si riferisce?
«Al fatto che oggi viviamo una fase di decrescita del cristianesi mo. Dobbiamo accettare, senza
nostalgismi, l’idea che i fasti della Chiesa di Pio XII siano ormai consegnati alla storia»
La sfida è recuperare l’essenziale del cristianesimo, l’annuncio del massaggio evangelico di
salvezza?
«Sì ed è curioso il fatto che oggi sia la società a dettare i temi, dai gay ai divorziati risposati, a una
Chiesa che per secoli si è imposta e ha imposto agli altri le sfide all’ordine del giorno. Anche questo è un
segno dei tempi.».
II Sinodo sulla sinodalità, definita da papa Francesco come ‘il cammino che Dio si aspetta dalla
Chiesa nel terzo millennio, può essere ben altro che un mero gioco di parole?
«Ragionare sul metodo con cui ci si vuole organizzare e s’intende oggi il Vangelo è I’occaslone propizia
per ripensare, senza omettere la disamina dei dossier caldi, la struttura ecclesiale e il rapporto di
ciascuno di noi con Dio, il dolore, la morte e il destino dell’anima».
I protagonisti della Chiesa di oggi sono all’altezza di un compito così profondo?
«Non lo so e non sta a me dirlo. Mi limito solo a constatare che purtroppo non abbiamo nessuna
enciclica recente sul senso della preghiera»
La polarizzazione tra prgres sti e conservatori rischia di far naufragare la barca di Pietro nel mare
delle riforme?
«È un ostacolo, certo ma, come sempre accade nella Chiesa cattolica, tutto dipenderà dal Papa».
Francesco deve essere meno politico e diplomatico?
«Finora è stato assai profetico, ma ha anche avuto paura di rompere l’unità della Chiesa. Il successo del
Sinodo dipende dalla sua volontà di approvare le riforme. Dovrà essere capace di parlare al cuore dei
vescovi polacchi e americani. Far loro capire che dare il via libera al diaconato femminile non significa
essere progressisti o cedere alla postmodernità, ma sostanziare quel ‘genio femminile’ di cui parlò Karol
Wojtyla. Altrimenti certe espressioni finiscono per essere una presa in giro»

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