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Sanità pubblica, per quanto ancora?

di Luciano lirica, Rivista Confronti

È la domanda che si fanno tutti,
cittadini-pazienti, medici e
operatori sanitari, enti di ricerca,
parti sociali. Compresi 14 scienziati,
tra cui un premio Nobel, che di
recente hanno sottoscritto un appello,
preoccupati perché il sistema sanitario
«presenta inequivocabili segni di crisi:
frenata o arretramento di alcuni indicatori
di salute, difficoltà crescente – e
talora insostenibile – di accesso ai percorsi
di diagnosi e cura, aumento delle
diseguaglianze regionali e sociali».
Dopo 45 anni dall’introduzione della
più democratica delle leggi (la
n.883/1978), che ha tutelato la salute
degli italiani, in modo universale e
gratuito, sembra invece che il Sistema
sanitario nazionale (Ssn) sia arrivato,
ormai, al capolinea, rinnegando, di fatto,
quegli straordinari principi di solidarietà
e di uguaglianza, che hanno
fatto della nostra sanità tra le migliori
e le “più giuste” al mondo.
Oggi di fronte alla malattia, la vita
quotidiana delle persone, in particolare
delle fasce socio-economiche meno
abbienti, viene drammaticamente condizionata,
impoverita e deprivata. «Voglio
continuare a vivere in un Paese
– diceva in un’intervista a Repubblica
Alberto Mantovani direttore scientifico
dell’Humanitas University – in cui
una persona debba preoccuparsi solo
di guarire. Non di quanto costa la sua
cura, o di cosa farebbe quando scade
l’assicurazione».
La Sanità in Italia, da tempo, invece
sembra essere diventata purtroppo,
solo un affare di censo: ci si può
curare presto e bene, solo se si paga.
Nel 2022, i cittadini hanno pagato il
24% delle prestazioni sanitarie, di tasca
propria o tramite assicurazione, per
oltre 40 miliardi di euro.
Questo significa che dunque la Sanità
è ancora pubblica e universalistica, ma
solo al 76%. Su 100 tentativi di prenotare
prestazioni nella Sanità pubblica,
quasi 35 approdano nella Sanità a
pagamento. Nel 2022, oltre 4 milioni
di italiani, il 7% della popolazione,
ha rinunciato alle cure. Ma quel che
è peggio un sentimento di sfiducia e
di rassegnazione si sta diffondendo tra
i cittadini, per cui, più di un italiano
su due si rivolge direttamente al mercato
delle prestazioni sanitarie, senza
neanche tentare di prenotare nel Ssn.
Sfiducia e rassegnazione che ormai
ha toccato tutto il personale sanitario,
a cominciare dai medici. Sempre
di meno e sempre più vecchi, e sempre
più propensi a lasciare la Sanità pubblica.
La nostra Sanità pubblica è una malata
grave. Siamo arrivati alla fase finale,
passando inesorabilmente da un Ssn
con tutele diffuse a 21 sistemi sanitari
regionali regolati sempre più dalle
leggi del libero mercato. Da almeno
15 anni, infatti, ha subìto successive
decurtazioni e definanziamenti: oltre
37 miliardi, di cui circa 25 miliardi
nel periodo 2010-2015. La spesa sanitaria
pubblica del nostro Paese nel
2022 si attestava al 6,8% del Pil (già
sotto alla media europea al 7,1%) e con
l’ultima Legge di stabilità la quota del
Pil riservata al Ssn tornerà a scendere,
tendendo a quel minimo storico collocato
intorno al 6%. Con una di disuguaglianza
strutturale Nord-Sud che
sta per essere anche normativamente
legittimata con l’autonomia differenziata.
Siamo ormai di fronte a una crisi sociale
e democratica, senza precedenti
perché tocca direttamente le nostre
esistenze e i nostri corpi. «La forma
più subdola e velenosa di disgregazione
civile – secondo il giornalista
Stefano Cappellini su Repubblica –,
perchè non si può chiedere civismo e
responsabilità sociale a chi viene abbandonato
dallo Stato nel momento
di maggiore fragilità».
La Sanità pubblica, allora, quanto
potrà resistere? Con questo trend, al
massimo ancora per 10 anni. Il tempo
che occorrerebbe per invertire la rotta,
per individuare nuovi investimenti di
manutenzione straordinaria, nonché
profonde riforme per efficientare il
sistema, per ridurre gli sprechi e per
una reingegnerizzazione dei servizi e
degli ospedali, ripensando però completamente
le modalità di risposta ai
bisogni. E soprattutto per trovare nuovi
medici e nuovo personale sanitario,
riprogrammando radicalmente la loro
formazione, le loro retribuzioni, il loro
sviluppo e le loro motivazioni.
SIAMO ORMAI DI FRONTE
A UNA CRISI SOCIALE E
DEMOCRATICA, SENZA
PRECEDENTI PERCHÉ
TOCCA DIRETTAMENTE
LE NOSTRE ESISTENZE E I
NOSTRI CORPI.

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