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«Mio figlio autistico, che cosa farà “dopo di noi”?»

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«Mio figlio autistico, che cosa farà “dopo di noi”?»

Scrivo dopo aver letto l’editoriale di Ferruccio de Bortoli «Più fragili, invisibili, dimenticati» (Corriere, 7 settembre). Sono la madre di un giovane uomo autistico di 35 anni e posso assicurare che mio figlio e le famiglie come la nostra sono tra gli invisibili e dimenticati. Vorrei aggiungere che a fronte di alcuni provvedimenti per gli anziani, che hanno un’aspettativa di vita ridotta, nei riguardi di persone non autosufficienti che ci sopravviveranno non c’è nulla tranne un ministero senza fondi e senza criterio, piccoli provvedimenti tampone a livello locale che viviamo sempre con l’angoscia di vederceli togliere per mancanza di fondi, servizi praticamente a zero se si esclude qualche ora di assistenza domiciliare. In sintesi una persona come mio figlio esce a passeggio o a vedere una mostra per tre ore la mattina 5 giorni a settimana e basta. I centri diurni sono parcheggi dove i gruppetti di disabili «assortiti» vengono guardati e intrattenuti con attività inadeguate, come fossero bambini dell’asilo, perché gli operatori sono pochi, alcuni senza esperienza e bisogna evitare rischi inutili. Certo, se hai i soldi trovi diverse offerte attraverso associazioni private, ma non è semplice per chi ha dovuto lasciare il lavoro e inventarsi caregiver, figura senza diritti e senza tutele, e la sola pensione di invalidità non basta. Per non parlare delle fosche prospettive sul «dopo di noi» che se non viene costruito nel «durante» porterà i nostri figli in terribili Rsa, sedati e rimbambiti. È questo che ci aspettiamo da un Paese civile? Io vorrei una mano per tentare di scardinare questo muro di indifferenza e menefreghismo che ci circonda.

Irene Gironi Carnevale, Roma

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